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Managers: Francesco Raniolo (Francesco.raniolo@unical.it), Filippo Tronconi (filippo.tronconi@unibo.it)
Read Section abstractLa sezione ospita proposte di panel inerenti qualunque aspetto del sistema politico italiano, anche analizzato in prospettiva comparata o diacronica. Senza voler restringere il campo delle proposte, ma come esempi di temi attorno ai quali potrebbero aggregarsi vari contributi, ricordiamo lo studio della dinamica degli attori istituzionali, le trasformazioni del sistema partitico e della forma partito in tempi di personalizzazione della politica, le trasformazioni dell’arena elettorale e di quella legislativa, le politiche pubbliche, l’amministrazione pubblica a livello centrale e periferico, la vicenda delle riforme istituzionali, il ruolo dei gruppi di interesse, i mutamenti nell’opinione pubblica e nel comportamento elettorale, le innovazioni nella comunicazione e nel marketing politico ed elettorale, la politica locale e regionale, il processo di federalizzazione dello stato (o piuttosto la sua fine) e le conseguenze sul decision making ai vari livelli.Thursday 12th September 2019
Monastero - Sala gradonata 10.15-12.00
Donato Valli - Aula B 13.15-15.00
Friday 13th September 2019
Sperimentale Tabacchi - Aula SP4 11.15-13.00
Sperimentale Tabacchi - Aula SP7 11.15-13.00
Studium 6 - Aula 3-B2/B3 14.00-15.45
Sperimentale Tabacchi - Aula SP4 14.00-15.45
Sperimentale Tabacchi - Aula SP7 14.00-15.45
Donato Valli - Aula 6 14.00-15.45
Chairs: Fortunato Musella
Discussants: Annarita Criscitiello
Dal programma al contratto di governo
Fulvio Pastore
AbstractLa crisi del bipolarismo prodotto dalla riforma elettorale del 1993, in uno con la forte affermazione di nuovi movimenti politici con bassa propensione alla formazione di alleanze di governo, ha determinato il ritorno a logiche convenzionali o stipulative della forma di governo parlamentare italiana, che aveva invece subito una trasformazione in senso quasi contrappositivo in virtù dell'affermazione del principio maggioritario nella legislazione elettorale.
L'assenza di una maggioranza parlamentare, consacrata dalle urne, in grado di esprimere un governo qual che fosse, ha determinato l'esigenza di avviare delle negoziazioni tra forze politiche che si erano presentate alle elezioni su posizioni contrapposte e che avevano dichiarato agli elettori che non si sarebbero mai alleate tra loro per formare una maggioranza di governo.
Di qui la novità di fare ricorso a un contratto di governo, nel quale stabilire, secondo una logica di tipo sinallagmatico, quali impegni assumere dinanzi alle camere parlamentari con il programma di governo.
D'altro canto, la richiesta, avanzata da alcune forze politiche con forte caratterizzazione in senso populista, di superare il divieto di mandato imperativo previsto dalla Costituzione, ha condotto alla messa in discussione, sin dalle sue fondamenta, della rappresentanza politica parlamentare e della stessa natura giuridica del mandato parlamentare. Fino a configurare il parlamentare, secondo le prospettazioni più estreme e antitetiche al dettato costituzionale, come un semplice portavoce (o nuncius) dei cittadini elettori.
Le indicate trasformazioni spingono a tornare a meditare su categorie fondamentali della scienza giuscivilistica, come "contratto" e "rappresentanza", al fine di verificare la possibilità di ricavarne significati utili a inquadrare e comprendere gli inediti fenomeni politico-istituzionali in atto.
Ne deriva l'esigenza di andare oltre la dicotomia diritto privato/diritto pubblico, superando anche la dicotomia tra teoria relazionale e teoria istituzionale, tra norme di condotta e norme organizzative.
Governare per contratto. La transizione postdemocratica e il regime liberale.
Armando Vittoria
AbstractI fenomeni di privatizzazione della sfera pubblica (Bozeman, 2007) hanno accompagnato l’uscita delle democrazie dal paradigma fordista e sembrano trovare un punto di caduta nella contrattualizzazione dell’azione di governo (Verkuil, 2007).
La privatizzazione-contrattualizzazione dello spazio politico costituisce una sfida rilevante per il regime liberale. Come già avvenuto con la personalizzazione (Calise, 2007), l’aziendalizzazione dei corpi intermedi e la monocratizzazione degli esecutivi (Musella, 2012, 2019), l’Italia si presenta ancora una volta come un avamposto dei fenomeni di transizione postdemocratica. Nel vuoto generato dalla disarticolazione del tradizionale schema rappresentativo, in parte già riempito dalle spinte di ri-corporativizzazione (Calise, 1998), sembra infatti ora consumarsi l’affermazione di una visione privatistica dell’azione politica e di governo, che con il governo Lega-M5S segna un salto di qualità: nella legittimità contrattuale dell’alleanza di governo; nella contrattualizzazione dell’azione politica dell’esecutivo; nell’ideal-tipo culturale stesso incarnato dal Presidente del Consiglio (Di Marzio, 2018).
Da queste premesse, il paper intende analizzare i profili di tale esperienza e le sue implicazioni per lo spazio dell’autonomia democratica. Si osserverà sia in fase di campagna elettorale che di azione di governo - dal Contratto al Consiglio dei Ministri - il realizzarsi degli elementi che sostengono uno scivolamento dai processi decisionali classici verso un’azione basata per prassi e simbologia su una legittimità di tipo privatistico. L’obiettivo è evidenziare le implicazioni di questa “politica per contratto” sia per la legittimità dell’indirizzo di governo sia per il sistema politico in generale.
Riferimenti
Bozeman, B. (2007). Public values and public interest: Counterbalancing economic individualism. Georgetown University Press.
Calise, M. (1998). La costituzione silenziosa. Geografia dei nuovi poteri. Laterza.
Calise, M. (2007). Il partito personale. Laterza.
Di Marzio, F. (2018). La politica e il contratto. Donzelli.
Musella, F. (2012). Il premier diviso. L’Italia tra presidenzialismo e parlamentarismo. Egea.
Musella, F. (ed.) (2019). Il governo in Italia. Profili costituzionali e dinamiche politiche. Il Mulino.
Verkuil, P. R. (2007). Outsourcing sovereignty: Why privatization of government functions threatens democracy and what we can do about it. Cambridge University Press.
Il contratto di governo. Sintomo e simbolo della politica (micro)personale
Fortunato Musella
AbstractL’attuale governo è il primo della storia repubblicana che ha fatto ricorso, per la sua formazione, a un contratto. Questo articolo intende investigare le novità introdotte da questo tipo di accordo, alla luce dei processi di personalizzazione della politica. Ciò avverrà da tre punti di vista. In primo luogo si analizzeranno le implicazioni sulla forma di governo italiano, e in particolare sulla figura del Presidente del Consiglio. Dopo un processo di rafforzamento nel corso degli ultimi decenni, questi sembra cedere il passo ad attori dotati di maggiore presa sull’elettorato, recedendo da ruolo un ruolo di primus super partes a uno di mediatore/esecutore. Il secondo luogo si considererà il rapporto che il contratto instaura tra governanti e cittadini, permettendo a due forze politiche di rendere visibili e vincolanti i punti principali dell’azione governativa.
Ciò si inserisce in un contesto mediatico che stimola sempre più un rapporto immediato e micro-personale tra leader ed elettorato. Infine, si rifletterà sul contratto di governo chiedendosi se esso possa essere letto come uno dei segnali di una nuova fase politica caratterizzata da una concezione privatistica delle relazioni rappresentative.
Il Governo Conte tra regole, regolarità e innovazione.
Ines Ciolli
AbstractIl procedimento di formazione del Governo, com’è noto, solo in minima parte è disciplinato in Costituzione. La prassi e le convenzioni costituzionali hanno colmato il silenzio della Carta. É logico ritenere che si sia trattato di una scelta consapevole, volta a garantire una maggiore elasticità e a conferire un margine di discrezionalità ampio alle forze politiche sia nelle consultazioni, sia nella formazione del governo. Un’analisi costituzionale deve però tracciare una linea di confine tra regole e regolarità. In altre parole, una riflessione scientifica deve porsi alcune questioni preliminari: se la formazione del Governo in carica ha invertito totalmente la rotta rispetto alle precedenti convenzioni costituzionali, prassi e regolarità e se tale cambiamento, in caso sia rilevato, sia in linea con il dettato costituzionale.
La formazione del Governo richiede perciò una continua contrattazione politica che in passato coinvolgeva più referenti, fossero essi le forze parlamentari rappresentate dai Presidenti delle Camere durante le consultazioni, il Presidente della Repubblica, cui spettano compiti di primaria importanza nella formazione, fossero anche e soprattutto i partiti politici, titolari di accordi e di patti volti a indicare sia il Presidente del Consiglio il quale, sebbene debba essere nominato dal Presidente della Repubblica, non può essere inviso ai partiti della coalizione perché senza il consenso di quest’ultima non può svolgere le funzioni che l’art. 95 Cost. gli assegna. Il compito del Presidente della Repubblica è vincolato alla formazione di una maggioranza capace di ottenere la fiducia in Parlamento; deve perciò commisurare le sue scelte a quelle della maggioranza e i margini di intervento non sono amplissimi. Si richiede cioè un’applicazione stretta del principio di leale collaborazione tra organi costituzionali, oltre che di un’attività di “moral suasion”; elementi non proprio presenti nella formazione del Governo Conte.
La stessa Costituzione fornisce qualche indizio non solo sulla formazione, ma sull’equilibrio che deve intercorrere all’interno della coalizione tra ruolo monocratico del Presidente del Consiglio, che non è ignorato, e il ruolo collegiale del Consiglio dei Ministri. L’equilibrio che si deve istaurare tra art. 92 e art. 95 Cost. richiede tuttavia continui aggiustamenti ed è per questo che non si rintracciano regole rigide nemmeno per ciò che attiene l’attività di governo ed è questa la ragione per cui si è rinviato al legislatore ordinario la disciplina della stessa Presidenza del Consiglio
Il disgregamento del sistema storico dei partiti, quello che s aveva contribuito alla redazione della Costituzione, si dissolve progressivamente. Contemporaneamente, la crisi della Rappresentanza, dovuta in gran parte alle disfunzioni del Parlamento e dall’incapacità di legiferare attraverso l’organo rappresentativo, si ripercuote sui partiti e sul Governo, sempre più centrale nell’indirizzo politico e sempre più coinvolto nella funzione legislativa primaria, proprio per una incapacità dell’organo rappresentativo di svolgere in termini soddisfacenti e rapidi la funzione legislativa
La crisi del procedimento di formazione del Governo e la sequela di novità adottate dalla formazione del Governo Conte pone nuovi problemi. A dire il vero, il ruolo svolto dagli organi che compongono il Consiglio dei Ministri era già stato messo a dura prova negli ultimi decenni da una evidente e progressiva “presidenzializzazione” degli esecutivi. Questo fenomeno, però, richiede una colazione debole ma coesa, quando la coalizione, come quella attuale, è la risultante di una tripartizione di forze politiche portatrici di istanze non conciliabili, il potere del Presidente del Consiglio torna a essere quello di mediatore all’interno della coalizione che si realizza anche al momento della direzione della politica generale del Governo, la quale non può che essere condivisa dai Ministri e dal Consiglio dei Ministri.
Quanto alla crisi delle regole in tema di formazione di governo, ci sono alcuni aspetti che possono essere messi in evidenza.
In primis, le novità nella formazione dell’ultimo Governo dimostrano che la formazione si basa su regolarità più che sulle regole, sempre modificabili; inoltre, non è dato sapere se la prassi più recente potrà in seguito divenire regolarità essa stessa.
Inoltre, alcuni comportamenti degli organi costituzionali al momento della formazione dell’attuale governo in carica si sono ispirati a precedenti. L’intervento del Presidente Mattarella nell’indicazione dei Ministri del Governo o meglio nel rifiuto di nominare come Ministro dell’economia il Prof. Savona perché critico nei confronti delle scelte economiche dell’Europa ha infatti avuto un precedente nella Presidenza Scalfaro, il quale rifiutò di nominare il Ministro Previti al Dicastero della Giustizia. IL messaggio di Scalfaro e la dichiarazione del Presidente Mattarella a corredo e a giustificazione di tale rifiuto differiscono tuttavia nella forma e nella sostanza
É però innegabile che il procedimento di formazione dell’attuale Governo sia stato costellato di novità che si possono ricondurre alla nuova natura dei messaggi e delle dichiarazioni del Presidente della Repubblica, al ruolo per certi versi più incisivo che questi ha svolto in seno alla formazione del Governo, alla natura del contratto di Governo, al ruolo attivo dei Presidenti delle Camere.
Nuovo sembrerebbe a prima lettura anche il ruolo o almeno la persona del Presidente del Consiglio, che dopo un anno circa ha acquisito una sua autorevolezza nel Governo.
Il ruolo del Presidente della Repubblica, che resta centrale anche in questo nuovo assetto ha riservato alcune sorprese. I due mandati esplorativi che il Presidente della Repubblica ha conferito ai Presidente delle Camere sono degni di nota. Il Presidente della Repubblica aveva agito in tal modo in altre occasioni, mai però conferendo due mandati consecutivi, affidati alternativamente al Presidente del Senato e della Camera. Mai, poi, il Presidente della Repubblica aveva spiegato dettagliatamente il modus agendi e le sue intenzioni in una dichiarazione (quella del 7 maggio) alla quale il Presidente Mattarella ha affidato anche una valutazione (politica) relativa all’impossibilità di dare vita a un Governo sostenuto da una maggioranza che non fosse politicamente neutra, vista l’indisponibilità delle forze partitiche a formare una coalizione. Nella stessa dichiarazione il Presidente Mattarella preannunciava le sue mosse future, come se fosse sorretto da una responsabilità politica diffusa nei confronti del corpo elettorale.
Anche l’incarico “doppio” al Prof. Conte, con l’intermezzo di Cottarelli, è una assoluta novità, come pure la prospettiva prefigurata da Mattarella di dare vita a un Governo “neutrale”.
Nel secondo incarico Mattarella ha assecondato le forze che hanno dato vita alla coalizione e ha nominato poi Conte nonostante nel discorso di Dogliani del 12 maggio 2018 avesse fatto riferimento alla nomina di Pella come Presidente del Consiglio, frutto di una decisione autonoma del Presidente della Repubblica Einaudi, svincolata dai partiti politici. Sosteneva, allora il Presidente Mattarella, di interpretare correttamente la Costituzione, la quale, però, Il contratto di governo costituisce un’evoluzione degli accordi di coalizione. Gli accordi di coalizione sono stati considerati, nella loro forma classica, come dei semplici accordi politici, o - come è stato sostenuto - delle regole convenzionali, che non sono corredate dal requisito della normatività. Non si riconosceva a quegli accordi una funzione contrattuale nemmeno di natura privatistica. La differenza con il contratto, almeno nella forma, è evidente. Quest’ultimo è stato pubblicato prima ancora di sottoporlo all’attenzione del Presidente Mattarella ed ha così perso ogni natura politica nel senso più pregnante del termine. É stato sottoposto a una sorta di controllo da parte del corpo elettorale e non è nemmeno paragonabile al contratto con gli italiani stipulato virtualmente dall’on. Berlusconi in campagna elettorale. Gli accordi di coalizione del passato hanno mantenuto una segretezza che ne garantiva l’elasticità e la natura politica. Il contratto così come è stato presentato dalla odierna coalizione di Governo rischia di attentare al ruolo di mediazione politica che da una parte spetta al Presidente della Repubblica e in gran parte al Presidente del Consiglio. Infatti, la complessa situazione politica nazionale e internazionale mal si concilia con rigidi accordi pre-stipulati (si pensi alle decisioni in materia di governo del territorio nell’Isola di Ischia dopo il recente terremoto o alla ricostruzione del Ponte Morandi che implicano scelte politiche di particolare rilevanza, capaci di incidere sull’indirizzo politico del Governo ma certo non prevedibili al momento della stipula del contratto).
I patti di coalizione si limitavano a esplicitare una serie di condotte politiche e di linee guide segrete e idonee a essere modificate e a subire aggiustamenti continui. Va detto, però, che essendo ben più radicate le ideologie politiche delle quali i singoli partiti erano portatori, i partiti e gli stessi elettori potevano prevedere a grandi linee le scelte che avrebbero assunto assunto le diverse compagini politiche di fronte alle questioni più disparate. Il diverso contesto storico politico e gli accordi tra partiti rientravano nella normale attività istituzionale e rivestivano perciò una natura pubblicistica sconosciuta all’odierno patto di governo, reso pubblico e -almeno per quel che riguarda il Movimento Cinquestelle- diretta conseguenza di uno pseudo mandato imperativo rispetto a decisioni assunte dal “popolo della rete”. Si tratta di ulteriori elementi di novità che incidono sia sulla formazione del Governo, sia sulla sua attività.
Chairs: Fortunato Musella
Discussants: Annarita Criscitiello
La Comunicazione del Contratto di Governo
Federica Nunziata, Luigi Rullo
AbstractLa sottoscrizione di un contratto di governo tra i leader della Lega e del Movimento 5 Stelle rappresenta un’importante novità per la scena politica italiana. Mentre alcune analisi ne hanno indagato le caratteristiche e le problematiche relative ai profili di costituzionalità, minore attenzione è stata posta alla comunicazione e al suo impatto sull’arena mediatica. Per queste ragioni l’obiettivo dell’articolo è quello di fornire un’analisi empirica sulla comunicazione politica del contratto di governo e dei differenti punti programmatici condivisi dalle due forze politiche.
L’articolo si focalizza sugli stili comunicativi veicolati in merito alla nuova modalità di formazione del governo in una prospettiva di tipo comparato. In particolare, l’analisi congiunta di contenuti testuali e relativi metadati mira a indagare in che modo l’istituto del contratto di governo e i punti principali contenuti in esso sono stati comunicati sui media da parte delle forze politiche e dei leader che lo hanno stipulato. A partire da un’osservazione critica dei volumi del discorso, si individueranno, da un lato, le principali dimensioni su cui ciascuno degli attori politici ha incentrato il discorso e, dall’altro, i punti del contratto che hanno trovato maggiore spazio nella comunicazione. Infine, si valuterà la risposta del pubblico in termini di resonance, investigando la relazione tra contenuto e cittadini/utenti.
Much ado about….The impact of the coalition agreement on issue prioritisation within the Italian parliament
Nicolò Conti, Andrea Pedrazzani, Federico Russo
AbstractThis paper examines how the coalition agreement signed by the Five Star Movement and the League – the so called ‘Contract for the Government of Change’ (Contratto per il governo del cambiamento) – has affected the works of the Italian parliament. We propose a measurement of congruence in agenda framing between the coalition agreement and party issue prioritisation within parliament, to assess to what extent the former provides a guide for legislative behaviour. To what extent has the agreement between the Five Star Movement and the League influenced the content of issue prioritisation by legislators of both majority and opposition? Additionally, we assess the extent to which legislative behaviour is shaped by the pledges made before the elections by parties in their manifestos. Our analysis is based on original data on parliamentary questions coded according to the Comparative Agenda Project scheme for the period from the formation of the Conte government in June 2018 until our days.
Portfolio trades in government formation process: the case of the M5S-Lega government in Italy
Luca Pinto, Luigi Curini
AbstractPortfolio distribution between government members can be modelled following a bargaining logic similar to a legislative logroll, where parties trade portfolios across diverse interests. What parties got as a result of government negotiations is central to the cabinet formation process. Assuming a certain degree of ministerial autonomy, parties’ control of a specific portfolio gives them an important advantage in implementing their preferred policies in a relevant sector and in reinforcing the loyalty of specific clientele groups that can bring electoral rewards in future elections. The qualitative allocation of ministerial portfolios may also have consequences regarding coalition governance and government duration given that mutual satisfaction among partners about their policy payoffs could lead to more durable coalitions. To what extent do ministerial appointments in the M5S-Lega coalition follow this bargaining logic of portfolio distribution and what are the potential consequences? This paper focuses on portfolio allocation in the Conte government, investigating how the complex relationship between issue salience, parties’ policy positions, and the presence of a coalition agreement shaped the distribution of ministerial positions. Using automated content analysis of party manifestos, legislative speeches and the coalition agreement, and linking these data to expert and mass survey, this paper investigates the existence of possible policy trades between coalition partners which guarantee parties’ dominance on their most salient portfolios.
“Il decision making tra emendamenti cofirmati alla Legge di Bilancio 2019 e il contratto di Governo”
Francesca Petrini, Cosimo Meneguzzo, Stefano Scardigli, Paolo Esposito
AbstractIn via sperimentale, sulla base della convinzione per cui elaborazione teorico-concettuale e indagine empirica si sostengono e arricchiscono vicendevolmente, il paper mira a non lasciar cadere la relazione tra teoria e pratica, facendo vivere insieme approcci di ricerca diversi, senza “schiacciare” la scienza politica né sull’ossessione empirica né sulla speculazione filosofica pura. Dall’esame degli emendamenti cofirmati ed approvati presso la 5 Commissione Bilancio della Camera dei deputati in sede di prima lettura della legge di bilancio 2019, il paper analizza per ciascun emendamento le relazioni esistenti tra almeno due parlamentari appartenenti a gruppi diversi, verificandone la manifestazione di uno più caratteri di affiliazione/categorie di issue in comune. Tale circostanza, oltre a definire il potere emendativo quale azione volta al rafforzamento di una posizione individuale infra/extra al network/gruppo parlamentare di appartenenza, appare prodromica necessità rispetto al riscontro di un effettivo potere di incidenza sulla decisione politica. Stante l’“Esecutivo legislatore” in una forma di governo parlamentare, l’analisi empirica circa le alleanze socio-politiche "vincenti" nel processo di produzione normativa è suscettibile di consentire osservazioni teoriche su concetti fondamentali della scienza politica, nonché sui modelli che qualificano la democrazia, indagandone natura e caratteri “in senso materiale” (C. Mortati), ossia come inverati nell’interpretazione e nella prassi del regime politico. Rispetto a tali questioni, il paper trae conclusioni circa l’effettività del potere dei decision makers, contribuendo a fornire indicazioni utili circa la coesione delle forze di maggioranza e di opposizione, anche alla luce della specificità dell’attuale legislatura guidata da un Governo-Giano bifronte e tale per cui è ontologicamente costante la necessità di bilanciamento del peso decisionale tra quote verdi e gialle nell'ambito del contratto di Governo. Infine, dall’esame degli emendamenti d’iniziativa - almeno formalmente - parlamentare, si cercherà di trarre riflessioni conclusive in merito all’effettività del potere di indirizzo politico in capo all’attuale Presidente del Consiglio, erede di una serie di strumenti conseguenti la c.d. personalizzazione della politica da un lato, primus inter pares nel “contratto di Governo” dall’altro, nonché circa il conseguente attuale livello di “flessibilità” del testo costituzionale rispetto al c.d. punto di rottura (F. Lanchester).
Chairs: Carlo Baccetti, Paola Bordandini
Discussants: Antonio Floridia
La sinistra a Firenze. Strategie e consensi nella candidatura di Antonella Bundu
Graziana Corica
AbstractLe diverse e numerose divisioni della sinistra si sono manifestate a Firenze con formazioni più o meno civiche e coalizzate che, a partire dai primi anni duemila, si sono contrapposte fortemente ai governi della città a guida Pds-Ds-Pd. Dopo la parentesi renziana – per altro non ancora chiusa nel capoluogo così come in molti altri comuni toscani – quale è il ruolo e il peso di quest’area politica in città?
In vista delle amministrative del 26 maggio 2019, le principali forze politiche di sinistra presenti a Firenze hanno espresso una candidatura unitaria, sostenuta da Sinistra italiana, Articolo 1 – Democratici e progressisti, Partito della rifondazione comunista, Possibile, Potere al popolo e dalla lista civica Firenze città aperta. Si tratta della candidatura di Antonella Bundu, che si autodefinisce «una donna nera, fiorentina e di sinistra». Figlia di un architetto della Sierra Leone, arrivato a Firenze per motivi di studio, e di un’insegnante di matematica fiorentina, Bundu nasce nella città toscana nel 1969 e cresce tra l’Africa e l’Europa, prima di stabilizzarsi nel capoluogo alla fine degli anni ottanta. Impegnata per l’affermazione dei diritti civili, è militante nell’associazionismo ma non nei partiti: collabora con Oxfam, partecipa al Social Forum e a diverse manifestazioni contro il razzismo, sostiene le istanze sui beni comuni.
Il paper presenta in prima battuta un approfondimento del profilo di Antonella Bundu, del percorso che conduce alla candidatura e dei temi della campagna elettorale. Fonti di questo approfondimento sono le interviste a testimoni qualificati e l’analisi della rassegna stampa locale. Il lavoro si propone inoltre di condurre un’analisi territoriale del voto della coalizione che sostiene Bundu anche alla luce di alcune variabili socio-demografiche, ricavate dal censimento Istat.
La sinistra italiana (ed europea) nel nuovo millennio: una crisi irreversibile?
Paolo Natale, Luciano M. Fasano
AbstractLe attuali difficoltà dei partiti di sinistra sono radicate nella storia passata. A trent'anni dalla caduta del muro di Berlino, la sinistra italiana (così come quella europea) sembra ancora alla ricerca del tempo perduto: il crollo di una visione del mondo e di obiettivi politici ispirati ai valori del socialismo e il comunismo avrebbe dovuto condurre, in Occidente e in particolare in Italia, a una generale ri-concettualizzazione della natura della sinistra e del progetto politico che doveva essere concepito per riallinearsi con i cambiamenti sociali e politici nel paese. Ma questo non è accaduto. Con soltanto deboli e incerti tentativi fatti dal PD (e dagli altri partiti di sinistra) di una vera rielaborazione di un progetto politico che si adattasse alla odierna struttura sociale e politica, o al mutato ordine economico-occupazionale legato alla globalizzazione, i suoi elettori sembrano persi - sia dal punto di vista numerico sia dal punto di vista della loro percezione del partito stesso; poiché molti di loro non comprendono più ciò che è distintivo della visione del loro partito o quale sia il tipo di società che si intende raggiungere. E i problemi che coinvolgono il PD italiano sono di fatto molto simili a quelli dell'intera sinistra europea, anch’essa in crisi da almeno dieci anni. Si prenderanno qui in considerazione, dopo una breve premessa sul cammino delle componenti socialiste e comuniste all’indomani della caduta del Muro di Berlino, la storia elettorale ed i consensi per i partiti della sinistra e del centro-sinistra degli ultimi vent’anni, fino alle recenti consultazioni europee del 26 maggio, con uno sguardo anche alle performance negli altri paesi dei partiti che aderiscono al raggruppamento S&D (Socialisti e Democratici) del Parlamento Europeo. Attraverso l’analisi delle risposte fornite dai delegati del Partito Democratico dal 2007 al 2018, viene sottolineata infine la presenza di diverse anime, di diverse concezioni della società e di differenti accentuazioni politiche che hanno portato gli eredi del Partito Comunista ad un costante processo di frammentazione, interna sia allo schieramento che agli stessi partiti.
Il Partito che non s'aveva da fare
Terenzio Fava
AbstractA distanza di soli dieci anni dalla sua fondazione il PD appare oltre che un partito in grave difficoltà sul piano dei consensi anche l’emblema di una crisi ben più ampia che riguarda l’area del centrosinistra (e della sinistra).
E se tra gli intenti iniziali il principale è proprio quello di diventare ed essere il punto di riferimento, identitario e valoriale, di quest’area, oggi non possiamo negare il pieno fallimento di tale proposito. Divenendo in questa sua insolvenza responsabile del disorientamento e, più ancora, del dissolvimento anche materiale, fisico, del popolo che si colloca (o si collocava) politicamente a sinistra del centro. Una colpa quest’ultima non meno grave della prima.
Il partito nasce alla fine del 2007 in un clima di fermento, di fiducia e con un forte coinvolgimento della base, degli elettori, del territorio, dei territori. Proponendosi come una forza che si implementa a partire dal basso. I primi risultati, quelli delle elezioni politiche del 2008, sembrano incoraggianti e indirizzati a sostenere una forza la cui vocazione maggioritaria è dichiarata essere parte del proprio Dna. Già dai successivi appuntamenti elettorali (a partire dalle Europee del 2009) la prospettiva si fa nebulosa e tale vocazione pare via via svilire in quella meno ambiziosa di un “partito né grande né piccolo”.
Volendo provare a suddividere la storia del Pd potremmo individuare tre diverse fasi, quella della fondazione e della fusione (mancata) delle sue anime (2008-13), quella populista che si apre e si chiude con l’ascesa e il declino di Matteo Renzi (2013-2018) e per ultima quella della rifondazione (difficile) che si avvia con la nuova segreteria guidata da Nicola Zingaretti.
Sta di fatto che già nella prima fase il partito sembra vecchio, usurato al suo interno da una fusione tra le sue anime che mai si realizza, privo di una propria identità, di una agenda politica chiara e di una ben definita collocazione nel sistema politico italiano. Con un declino di fiducia, di partecipazione e di coinvolgimento che sembra riguardare il partito in tutte le sue parti, dalla base ai suoi vertici. E già in questo periodo gli analisti iniziano a parlare di un partito “mai nato”o quanto meno “ipotetico”.
L’ascesa di Matteo Renzi, rimescola gli equilibri interni, con la componente che guarda più a sinistra che diviene minoritaria e con l’affermazione di un populismo a-ideologico il cui sguardo inizia ad alzarsi a partire dal “popolo degli 80 euro”. Una fase che sembra inizialmente rivitalizzare il partito e trova il suo punto massimo con l’ottenimento del 40% alle Europee del 2014. Un successo che segna, tuttavia, l’inizio di un crollo deflagrante (del partito e del suo leader) che passa attraverso il referendum costituzionale del 2016 e si compie inesorabile con le elezioni politiche del 2018 quando il partito fissa al minimo storico i suoi consensi.
L’elezione di Nicola Zingaretti apre la terza fase la quale arriva dopo un periodo di grande travaglio interno che vede, tra le altre cose, la fuoriuscita di una parte della componente di sinistra, il decesso politico di Renzi (il cui fantasma che continua tuttavia ad aleggiare), l’insediamento di un non-leader (Paolo Gentiloni) al governo, un non breve periodo di vuoto politico rappresentato dalla reggenza Maurizio Martina e, appunto, la disfatta elettorale del 2018. Con il partito che ne esce pesantemente segnato nel suo fallimento sia come forza di governo sia come forza di opposizione.
La segreteria Zingaretti certamente apre una fase nuova ma nel suo presentarsi non sembra, per ora, in grado di segnare un passaggio decisivo verso la formazione di un partito vero. Più attenta ad appiccicare e garantire i cocci renziani che non ad acquisire una nuova linea di rottura verso posizioni di avanzamento progressista. Più attenta a distogliere lo sguardo che non a farsi carico delle istanze che arrivano da sinistra, siano esse riguardanti i diritti civili, i flussi migratori, la disuguaglianza o la sicurezza. In un continuo inseguire a distanza un populismo trash e una destra razzista sempre più forti, corrosive e invasive anche rispetto al popolo di centrosinistra, che nella vacanza politica del Pd si sgretola e non raramente ne coglie ammagliato il fascino. E tutto questo forse proprio perché, citando Antonio Floridia, si tratta di un “partito sbagliato” nella sua costituzione, nel suo porsi, nel suo essere. Continuano a mancare le parole chiave. Un’idea seppur debole di società. Una propria identità definita nella chiarezza delle idee e dei valori. Un’agenda politica autonoma fatta di priorità, temi e questioni non imposte dall’esterno e dalla retorica populista e antipolitica.
Provare a studiare, analizzare e comprendere questi dieci anni di storia e coglierne gli elementi della crisi significa focalizzare l’attenzione su diversi aspetti e tra questi:
- il modello di partito, che sin dall’inizio si gioca nel confronto tra le due anime interne, quella centrista neo-democristiana e quella di sinistra ex Ds e contrappone l’idea del partito leggero a quella del partito pesante. E, di pari, l’idea del partito identitario a quella partito plurale e post-ideologico.
- il rapporto con il territorio, fortemente connesso con il punto di cui sopra, con logiche stratarchiche che alimentano frizioni e scollamento tra il centro e le periferie e determinano senso di abbandono e crisi di rappresentanza nei territori. Ma anche una dirimente incapacità di cogliere le istanze che arrivano dalla dimensione locale.
- i miti fondativi. “Il partito che nasce dal basso” che nella realtà significa null’altro che una ricomposizione delle dinamiche e degli equilibri locali pilotata dall’alto. “Le primarie”, strumento poco di sinistra, che propone l’idea del partito aperto ma in fondo finisce semplicemente nell’espropriare l’iscritto a scapito dell’elettore, se non addirittura dell’esterno. Brutalizzando in modo decisivo l’appartenenza (poco congeniale al partito post-ideologico) e la militanza.
In riferimento a questi punti, ma anche ad altri, quali ad esempio l’agenda politica e il modo in cui si affrontano i temi e le questioni, l’idea del Paper che qui si propone è di fornire un’analisi della crisi attraverso una rilettura delle voci che giungono dal territorio. Dai dirigenti del partito, locali, provinciali e regionali. Raccolte nel corso di questi dieci anni attraverso la somministrazione di diverse decine di interviste. Da Nord a Sud. In quasi tutte le regioni italiane.
Lost in economic crisis: welfare state reforms and left-wing parties, between electoral demises and successes.
Sorina Soare, Matteo Boldrini, Mattia Collini
AbstractTraditional left-wing parties have been facing a complex crisis across Europe for a while. Both in terms of electoral results or capacity to mobilise members and/or sympathisers, traditional left-wing parties register relevant losses. However, there are several of exceptions, for the most part connected to the rise and development of populist radical left parties (i.e. Podemos, Syriza) or to mainstream parties that have shifted towards more radical stances (i.e. the Labour Party). In this context, we aim to analyze the differences in the electoral success of left-wing and radical-left parties in the current 28 EU countries, plus Norway and Switzerland. We take into account their electoral results at the lower chamber between the first election prior to the European economic crisis (2009) and the most recent legislative elections. As such, we assess the relation between changes in social policies (chiefly social expenditures) and electoral results for left wing parties. Contrary to previous researches that studied the change in welfare policies in relation to the electoral success of radical left and centre left wing parties (i.e. Manow and Palier, 2018), our research aims to look at the correlation between changes in the welfare systems and electoral volatility for parties on the left of the political spectrum. In other words, we aim to assess if changes in welfare policies, considered with regard to social expenditures, can be a relevant variable for explaining electoral shifts from left-wing parties to other parties on the left (radical-left parties) or contenders on the right that endorse forms of welfare chauvinism (radical-right populist parties).
The question of the crisis of left-parties is not new. However, to the best of our knowledge, this topic has not been dealt with, in particular with regard to comparative studies exploring the phenomenon on a large scale. Our analysis is based on largely quantitative research examining electoral data and macroeconomic variables, plus data on political orientation of parties (GALTAN positions and economic left-right) from the CHES. The research is exclusively focused on the supply side and does not take into account the voters’ perspective. In doing so, in the first part, we shall provide a general assessment of the relationship between social policies and electoral results for left wing parties and formulate our expectations. The second part is dedicated to a preliminary analysis of the data, with a focus on potential differences connected to parties that are in government or in opposition, variations among different welfare state models, and the existence of contenders with welfare chauvinist positions.
Elogio del “continuismo”: il ruolo delle tradizioni e delle identità di cultura politica nelle diverse fenomenologie della “crisi” della sinistra europea.
Antonio Floridia
AbstractIn genere, le cause di quella che, in modo indistinto, viene definita come la “crisi” della sinistra europea vengono attribuite alla sua mancata o debole capacità di “rinnovamento” di fronte ai mutamenti sociali ed economici del nostro tempo. Lo schema interpretativo dominante, dunque, è quello che contrappone una “vecchia” cultura politica – legata alla stagione aurea del compromesso socialdemocratico – e la mancata elaborazione di un “nuovo” all’altezza dei tempi. Il paper si propone di mostrare una tesi diversa: ossia, che le difficoltà della sinistra nascono da una lettura-interpretazione errata, o troppo ottimistica, della nuova fase storica del capitalismo finanziario globalizzato, e da un troppo disinvolto abbandono del richiamo ad una tradizionale identità della sinistra. Insomma, alla radice della crisi della sinistra (beninteso, là dove essa si manifesta in modo più acuto, perché il panorama non è affatto univoco od omogeneo), non vi è la dicotomia tra “vecchio” e “nuovo”, ma tra due diverse interpretazioni del “nuovo”. Da qui, in modo paradossale, un “elogio del continuismo”: laddove identità e tradizioni di cultura politica non sono state frettolosamente archiviate, esse si rivelano una risorsa strategica fondamentale, che permette di affrontare meglio situazioni difficili, e che costituisce una base essenziale su cui innestare le innovazioni necessarie e un nuovo profilo programmatico.
Chairs: Carlo Baccetti, Paola Bordandini
Discussants: Antonio Floridia
Fratelli minori (a volte) crescono: i partiti verdi di fonte alla crisi della sinistra riformista. Il caso italiano a confronto con Francia, Germania, Regno unito e Svezia
Alessandro Testa
AbstractNati all’inizio degli anni ’80, nei primi anni della loro storia i partiti ambientalisti europei avevano rifiutato le forme organizzative tradizionali, dotandosi di leadership collegiali, privilegiando il momento assembleare come strumento di democrazia diretta interna e applicando in taluni casi il principio della rotazione degli eletti. La logica conseguenza di un modus operandi tanto diverso da quelli delle forze politiche tradizionali era stata il rifiuto di qualsivoglia forma di collaborazione con tutte, sia di destra che di sinistra, nonostante alcuni circoli interni – inizialmente in minoranza – avessero sollevato la questione fin dall’inizio.
Negli anni ’90, dopo il crollo del blocco del «socialismo reale» nell’Europa dell’Est, e la nascita di un primo coordinamento ambientalista continentale, i partiti verdi iniziano a collaborare con i partiti della sinistra riformista, accettando il ruolo di junior partner in coalizioni prima elettorali e poi di governo (Italia 1996, Francia 1997, Germania 1998).
A distanza di oltre vent’anni da quel turning point – e dopo l’istituzionalizzazione del Partito verde europeo, che costituisce un ulteriore allontanamento dall’iniziale modello spontaneista “glocal” – è possibile tracciare un primo bilancio, in ottica comparata, delle diverse esperienze dei partiti ambientalisti, a fronte della crisi generalizzata dei loro storici senior partner. Il paper cercherà di analizzare perché in Italia – e non soltanto – i Verdi sono pressoché scomparsi dalla scena politica, mentre ad altre latitudini i partiti ecologisti conservano le proprie posizioni, e anzi spesso si giovano della crisi della socialdemocrazia, intercettando parte del suo elettorato in fuga. Oltre ai tre paesi già citati, il confronto verrà effettuato anche con la Svezia (dove i Verdi sono diventati junior partner dei socialdemocratici soltanto nel 2014) e con il Regno unito, dove Labour e Greens sono sempre rimasti avversari.
Per ciascun partito/paese saranno presi in esame, dal 1993 al 2018: a) il tasso di indipendenza alle elezioni (misurato in riferimento alla coalizione di centrosinistra e/o di sinistra radicale, tenendo conto della presentazione delle liste in competizioni nazionali e regionali); b) i risultati ottenuti alle elezioni (tenuto conto dei diversi sistemi di trasformazione dei voti in seggi); c) la vicinanza al potere (frequenza, quantità e qualità delle cariche ottenute); d) il tasso di indipendenza dalle coalizioni nella decisione di partecipare ai governi (nazionali e/o regionali); e) il tipo di leadership (collegiale, portavoce, presidente) e la sua eventuale evoluzione; f) la frequenza dei congressi; g) l'andamento della membership.
Gli anni zero della sinistra in Europa. Azioni e reazioni
Marco Damiani
AbstractI partiti della sinistra, in Italia e in Europa, attraversano una fase di profonda crisi strutturale, che si esprime contemporaneamente sia in termini politici sia in termini identitari e culturali, e quindi anche in termini elettorali. Si tratta di una crisi che richiama le ragioni costitutive del progetto che la sinistra ha interpretato nel corso del Novecento, e che interroga seriamente i presupposti della sua sopravvivenza. A partire da tali considerazioni, l’obiettivo è cercare di comprendere le cause di questa crisi, le sue caratteristiche preponderanti, le modalità di esercizio e le conseguenze registrate nel corso dell’ultimo trentennio, dalla caduta del muro di Berlino ad oggi. Inoltre, dopo aver presentato l’analisi delle condizioni di partenza, questo contributo proverà a individuare e descrivere le azioni compiute finora per reagire allo stato delle cose presenti e quelle messe in campo per provare ad arginare le condizioni di difficoltà registrate, in modo particolare, negli anni successivi alla crisi economica e finanziaria della “Great recession”.
The profile of the populist voter in Southern Europe
Andres Santana, Jose Rama, Vincenzo Emanuele
AbstractThe GR combined an economic and a political crisis, followed by a third migration crisis. One of the consequences of these crises has been a profound change in the political systems of European countries. Trust in parties dwindled, volatility increased, and so did the number of effective parties. New parties with an anti-establishment discourse emerged and those already in place increased their bases of support. In Southern Europe, two countries stand out, Italy and Greece, where coalitions of populist parties of different ideologies seized governments. How is it possible that parties with in principle marked ideological differences agreed to govern together? To shed light on this, we analyze the evolution of the voter profiles of these parties before and after the establishment of government coalitions. We also analyse the evolution in voter profiles in other Southern European countries like Spain.
“What is dead may never die”: left-wing parties in Europe and their struggle for legitimation.
Chiara Fiorelli
AbstractThe European literature on the mass-party model usually emphasises, among other things, the strength of the left-wing political parties in mobilizing their members and being strongly rooted and legitimised.
The last decades have put serious critics to that traditional view: membership is decreasing almost everywhere, mainstream party, even those with a long experience, face the challenge of new-comers and populist movements, and citizens, less and less attracted by traditional political support, prefer other forms of participation and activation.
In this paper the question regarding the legitimation from below to left-wing parties is addressed toward the analysis of their financial resources, in order to understand the changes occurred in the last 20 years among different organizational model (new/old; centralized/stratarchical) and different countries (France, UK, Spain, Germany and Italy).
Results show that the presence of forms of public financial support to parties reached to guarantee continuity and organizational stability, but the internal balance between members’ and private donors’ contributions is changing the face of their legitimation’s base.
Chairs: Luciano Brancaccio, Vittorio Mete
Discussants: Dario Tuorto
Elezioni Europee 2019: quali caratteristiche del voto alla Lega nel sud Italia?
Ciro Clemente De Falco
AbstractLa Lega ha ottenuto, alla tornata del 4 marzo 2018, ottimi risultati rispetto al 2013 nelle regioni del sud Italia. Da percentuali di voto inferiori all’1%, la Lega ha totalizzato in queste regioni circa il 7% delle preferenze. In Abruzzo ha raccolto il risultato migliore (13,9%) mentre in Campania quello peggiore (4,3%). La “strategia salviniana” di trasformare il partito regionalista “Lega Nord” nel partito nazionalista “Lega” ha dato i suoi frutti. Addirittura in alcuni comuni del dud la Lega ha ottenuto ottimi risultati: nei comuni siciliani di Motta Camastra e Limina ad esempio, il partito guidato da Salvini ha raggiunto circa il 40% dei consensi. Tali risultati sono stati ottenuti grazie all’appoggio di politici locali di lungo corso candidatisi nella lista “Noi con Salvini”. Il buon risultato ottenuto alle politiche del ’18 si è replicato alle elezioni regionali tant’è che la Lega ha collezionato il 27,53% di voti in Abruzzo ed il 19,15% in Basilicata. Nel 2018 inoltre, a San Giuseppe Vesuviano, è stato eletto il primo sindaco leghista al sud.
Il 26 maggio si terranno le elezioni europee, elezioni che dal punto di vista del governo risultano essere di estremo interesse poiché il risultato potrebbe modificare gli attuali rapporti di forza tra Lega e Movimento Cinque Stelle. Questo possibile scenario non è da sottovalutare poiché, sebbene elezioni di second’ordine (Reif, K. e Schmitt, H.,1980) i risultati delle elezioni europee hanno avuto, in passato, rilevanti conseguenze sul governo nazionale (Carrieri, 2014).
Oltre che per i risvolti sia in ambito europeo sia sul governo nazionale, i risultati delle europee di maggio potrebbero dare interessanti indicazioni sul radicamento della Lega nel sud Italia. È nelle regioni del Sud infatti che la Lega deve puntare per uscire definitivamente dalla dimensione regionalista e portare così a compimento la strategia salviniana prima menzionata.
La ricerca qui proposta si pone l’obiettivo di analizzare il risultato alle europee delle Lega nelle regioni del sud Italia al fine a) di individuare eventuali continuità e discontinuità territoriali rispetto al voto del 2018 e individuare eventuali pattern territoriali emergenti b) cogliere eventuali relazioni tra contesto socio-economico e voto alla Lega. Per l’analisi ecologica saranno utilizzate le statistiche sperimentali Istat che contengono informazioni più aggiornate (2014-2015) rispetto al censimento 2011. L’unità d’analisi sarà il comune.
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Il sovranismo a geometria variabile. La penetrazione della Lega di Salvini nel Mezzogiorno tra personalizzazione, organizzazione e backlash populista.
Armando Vittoria
AbstractIl ciclo apertosi con le elezioni politiche del 4 marzo 2018 sta segnando un forte cambiamento nel sistema politico nazionale, di cui l’esperienza dell’esecutivo gialloverde – dal ‘Contratto’ all’azione di governo – costituisce un ulteriore momento evolutivo.
Entrambe le forze populiste, Lega e M5S, hanno monopolizzato l’ultimo passaggio elettorale nazionale, e tuttavia l’affermazione del partito di Salvini nel Mezzogiorno - 457.515 voti raccolti nelle sei regioni del Sud continentale alla Camera contro i 13.471 del 2013 – ha rappresentato dal principio, prospetticamente, un elemento di forte novità. Già in leggera crescita nel test elettorale siciliano immediatamente precedente le politiche, il partito di Salvini ha raccolto nelle sei regioni del Mezzogiorno continentale percentuali di voto inusuali (dal 3,8% in Campania al 17,14% dell’Abruzzo), raggiungendo una media dell’8,23% ed eleggendo ben 7 deputati tutti ‘locali’. Questo dato è parso consolidarsi e addirittura crescere nelle tornate elettorali regionali successive: dal Molise (8,23%), all’Abruzzo (27,53%), alla Basilicata (19,15%).
Sebbene la ‘nazionalizzazione’ del consenso leghista sia un dato certamente tutto da verificare (Pritoni, Tuorto e Feo, 2018: 146), esso non va certamente minimizzato. L’agenda politica della Lega nella sua nuova versione ‘far-right’ ha ampiamente passato la linea del Tronto, e nel Mezzogiorno il partito di Salvini sembra saldare – come si è notato - «comunicazione rampante e rete infiltrante», in una strategia di marca populista che sembra fare perno sul «rapporto collaudato tra un forte leader e una forte organizzazione di partito» (Calise, 2018: 237).
Che ruolo sta svolgendo in questa affermazione la personalizzazione (nella comunicazione e nell’organizzazione)? E come questa si collega, sul lato dell’agenda, al driver (o booster?) dell’immigrazione? Più in generale, l’affermazione della Lega al Sud è interpretabile come una semplice bolla o esistono elementi sufficienti per individuare un cleavage nazionale?
Tali domande rinviano, da un lato, a un ragionamento sull’attuale natura ideologico-programmatica e organizzativa del partito effettivamente più vecchio del sistema italiano, dall’altro, interrogano sul peso che assume nella nuova Lega la strategia di comunicazione in relazione a uno specifico tipo di personalizzazione politica, che sembra esercitare soprattutto al Sud un effetto particolare. Infatti, per quanto spesso schiacciata su una dimensione di comunicazione populista, la Lega sta mostrando di saper offrire quella possibilità di un voto «sia contro il sistema sia per il governo» (Pritoni, Tuorto e Feo, 2018: 131) che, soprattutto in alcuni segmenti dell’elettorato meridionale non urbano ma anche suburbano, sollecita fortemente alcune corde – clientelismo, ribellismo, attrazione per il capo tradizional-autoritario – tipiche dell’universo politico-culturale del Mezzogiorno.
Dopo un breve approfondimento sulla attuale natura ideologico-organizzativa della Lega, le tre sezioni del paper saranno dedicate all’analisi empirica.
La prima di queste si basa su una ipotesi di personalizzazione macro presente nella strategia di comunicazione ‘populista polarizzante’ (Bobba e Seddone, 2018) della Lega di Salvini alle ultime elezioni politiche: questa sarà infatti analizzata osservando la campagna twitter di Matteo Salvini, per valutarne l’impatto, particolarmente al Sud, in relazione alla tematizzazione (nazionalizzazione dell’asset programmatico sovranista), al tipo di comunicazione e al mood, alla polarizzazione Noi/Others, ai processi di identificazione iconografica tra sostenitori e quello che appare come un leader-capo.
La seconda sezione presenta invece la dimensione della personalizzazione micro, attraverso la politica leghista delle candidature alla Camera nei collegi plurinominali di Abruzzo, Molise, Basilicata, Puglia, Campania e Calabria, per valutare sforzo strategico, intensità e tipologia dell’investimento politico-organizzativo.
Nella terza e ultima sezione la personalizzazione populista sarà analizzata invece dal punto di vista dell’agenda e delle basi strutturali del consenso leghista al Sud, presentando alcune evidenze sull’immigrazione, anche per comprendere se questa abbia funzionato come driver diretto o piuttosto come booster per l’elettore cut-off o left-behind della globalizzazione (Ceccarini, 2018) che sta scegliendo di sostenere il progetto salviniano nel Mezzogiorno.
Alle conclusioni sono riservate la risposta alla domanda di ricerca e alcune ipotesi critiche.
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La Lega di Salvini in Campania.
Evoluzione elettorale e mappatura dei nuovi leghisti campani
Salvatore Esposito
AbstractLa Lega di Matteo Salvini getta le proprie radici organizzative anche in Campania, regione d'Italia più grillina alle scorse elezioni politiche del 4 marzo 2018 con quasi il 50 percento dei consensi (49,33%) degli elettori campani per il Movimento 5 Stelle.
Per converso, la Campania è stata la regione italiana meno “verde Lega” alle scorse elezioni politiche con una percentuale di consenso pari al 4,29 percento. Consenso leghista distribuito diversamente tra i due collegi campani: nel collegio napoletano, città e provincia, il partito di Matteo Salvini non riesce ad andare oltre il 2,89%; mentre nel collegio che ricomprende le altre quattro province campane il dato elettorale è più alto con un consenso registrato pari al 5,76% e con picchi più alti nelle aree interne della Campania, ovvero in Irpinia e nel Sannio, in cui la questione immigrazione, main issue della campagna leghista alle scorse politiche, era particolarmente sentita su questi territori.
L'analisi dell'espansione e del radicamento della Lega di Salvini in Campania può assumere un ruolo centrale nella comprensione dei nuovi equilibri politici e simbolici che vengono a definirsi in seno al Governo Gialloverde che in prossimità delle Elezioni Europee di maggio 2019 è stato attraversato da notevoli turbamenti politici.
Elezioni Europee che oltre ad essere per il partito di Salvini un importate banco di prova politica nazionale è anche, per la nascente classe dirigente leghista campana un importante test elettorale di preparazione alle prossime elezioni regionali campane che si terranno nel 2020 e dunque occasione di riposizionamento di ceto politico campano.
Il paper si propone di indagare diverse due dimensioni del fenomeno “Salvini” in Campania: una elettorale e una organizzativa.
L'analisi della prima dimensione, quella elettorale, analizzando il dato elettorale per le Europee, verifica se emerge un nuovo equilibrio “elettorale” tra i principali centri urbani e le aree interne della regione. Inoltre si indaga la performance elettorale della Lega nei principali comuni campani superiori ai 15mila abitanti che sono stati chiamati al voto il 26 maggio 2019.
Con riferimento alla dimensione organizzativa, il paper accende i riflettori sul nuovo “ceto” politico leghista campano realizzando una mappa che definisce sia i profili pubblici e sia le origini e le culture politiche di riferimento dei salviniani campani.
Salvatore Esposito
Dipartimento di Studi Politici e Sociali/DISPS
Università degli Studi di Salerno
La Lega “nazionale” di Salvini alla conquista elettorale del meridione
Roberto De Luca, Domenico Fruncillo
AbstractLa Lega di Salvini sembra aver impiegato un tempo relativamente breve per conquistare consensi nelle regioni meridionali e diventare così un partito “nazionale”, addirittura il primo partito in Italia. Tale esito è espressione della estrema volatilità elettorale che si registra nel nostro Paese. Il successo della Lega “partito del Nord” nel meridione ha del sensazionale se consideriamo che la Lega Nord di Bossi e, poi, dello stesso Salvini, ha dovuto investire un lungo tempo per conquistare posizioni di rilievo nelle regioni al confine con la “Padania”. Quote importanti di elettorato ottenute nelle regionali del 2018 e 2019 (in Molise, Sardegna e Basilicata) hanno fatto affermare definitivamente la Lega come partito nazionale.
Tale successo è attribuibile, senza dubbio alcuno, all’attivismo di Salvini e alle sue campagne elettorali permanenti. In ipotesi le competizioni regionali dove vengono utilizzati sistemi elettorali con il voto di preferenza, i partiti che possono disporre di candidati insediati localmente sarebbero avvantaggiati; mentre un partito – “nuovo” per quei territori – come la Lega che non dispone di candidati competitivi risulterebbero svantaggiati.
Nelle elezioni per il parlamento europeo il sistema elettorale prevede, come per le regionali, il voto di preferenza. Tuttavia, in questo caso l’utilizzo del voto di preferenza è molto più limitato rispetto alle regionali proprio a causa della distanza che separa i candidati dagli elettori. Le circoscrizioni sono molto ampie e i candidati sono sconosciuti alla gran parte dei votanti. Il voto nelle europee, il più delle volte, è voto di opinione dove, in questa fase politica, sembra contare di più la leadership del partito.
Sulla scorta di queste considerazioni ci si propone di sviluppare un’analisi dei risultati alle elezioni europee della Lega nelle regioni meridionali (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna) comparate con le precedenti elezioni politiche del 2018 che, come è noto, si sono svolte secondo un sistema che non prevede la possibilità di esprimere il voto di preferenza. Più specificamente, in questo contributo ci si propone di verificare il grado del radicamento del partito di Salvini nelle regioni meridionali, cercando di individuare, in particolare, quei territori dove il successo della Lega è in misura maggiore correlato ad un più alto tasso di preferenza e, probabilmente al valore aggiunto di candidati capaci di ottenere consensi personali. La misura dell’apporto dei candidati del territorio al successo della Lega potrà fornire una valutazione sul radicamento e sulla tenuta della Lega quale partito “nazionale”.
Chairs: Antonella Seddone, Marco Valbruzzi
Discussants: Paolo Bellucci
I partiti nel web tra comunicazione e organizzazione
Cristopher Cepernich
AbstractLe ricerche sulla comunicazione e sulle pratiche di innovazione politica hanno finora rivolto un’attenzione insufficiente alle conseguenze della digitalizzazione sulle infrastrutture e sulle architetture organizzative della politica. Nel digitale comunicare è organizzare: dall’assetto delle infrastrutture organizzative dipendono i modelli comunicativi e viceversa. Daniel Kreiss (2012) ha inquadrato l’importanza che l’innovazione tecnologica e l’agire connettivo hanno assunto nel plasmare le forme della politica reticolare. Le trasformazioni più rilevanti si compiono in due momenti specifici: le attività elettorali e i momenti organizzativi per la partecipazione al voto. I modelli organizzativi high-tech ristrutturano qui dalle fondamenta le modalità relazionali tra candidati ed elettori.
Superando la suggestione di Shiry (2009) dell’agire digitale senza organizzazione, Karpf (2012) ha proposto il tema delle nuove forme organizzative di tipo netroots. Tre sono i modelli indicati: le organizzazioni di advocacy strutturate online intorno a temi generalisti o a single issue; le community online fortemente motivate intorno ad una causa comune; le organizzazioni neo-federate, sulla base di esperienze come Democracy for America. Infine, Chadwick (2007) indica in Internet il principale fattore di ibridazione organizzativa degli attori collettivi, osservando come i partiti finiscano per appropriarsi di repertori organizzativi online tipici dei movimenti sociali.
Sulla base di una letteratura in via di consolidamento, ancora frammentaria ma solida, il paper intende analizzare in chiave comparata le funzioni organizzative e di mobilitazione che i partiti politici svolgono in parte o del tutto attraverso il web. L’analisi, di tipo teorico-funzionale, prende in considerazione i siti web di partiti italiani, europei ed americani e le rispettive forme di raccordo multicanale con i social network e con altre piattaforme per la mobilitazione organizzata di militanti, supporter, volontari. L’obiettivo è di identificare modelli e di concludere sulla compilazione di un catalogo di funzioni fondamentali svolte attraverso la rete.
Intra-party democracy in Italy. Democratic rules and practices within and beyond parties
Giulia Sandri, Fulvio Venturino
AbstractSince the mid-1990s, the Italian party system entered a period of substantive change. While in other European established democracies new parties arose next to traditional parties, in Italy most (if not all) of the old parties have been completely dismantled as a result of the combined processes of judiciary prosecution, the citizens’ dissatisfaction, and the impressive successes of (various types of) new parties. The latter definitively rejected the model of the mass-based party still predominating at that time, and adopted new modes of organization, emphasizing multi-speed membership, the digital platforms and communication, and alternative sources for funding.
Starting in the mid-2000s, the growth of intra-party democracy has been one of the most stunning innovations implemented by many Italian parties. This practice has been first promoted by left-wing parties, which have started including members and then supporters in both candidate and leadership selections. Successively, right-wing parties – such as Lega – and completely new parties – such as Movimento 5 Stelle – empowered their own members, by giving them a say on political recruitment and on policy matters through multichannel instruments. Italian parties were among the first in Europe to durably adopt open primaries, where ordinary citizens and party supporters, together with formally enrolled members, are involved in intra-party decision-making.
On the basis of a longitudinal analysis of party statutes and of data on internal elections, this paper aims to shed light on the attempts of the Italian parties to reform their organizations through intra-party democracy during the so-called Second Republic.
The degenerative effect of party finance reforms on party organizations in Italy: from theory to practice
Daniela Piccio
AbstractScholars have often argued that changes in the resource base of political parties have an important impact on their organizational development, and indeed different models of party organization - i.e. cadre, mass, catch-all, electoral professional and cartel - have been associated with particular patterns of party financing (cf. Katz and Mair 1995). The growing importance of public funding as the principal source of party income in the large majority of European countries has led to relevant unintended consequences for party organizations: while the provision of public funding is supposed to sustain their daily functioning, it has decreased the incentive for parties to maintain strong presence on the ground and has reduced their need or desire to provide organizational linkages with society. This definitely applies to the case of Italy. However, party finance reforms in Italy took an even more tortuous and potentially degenerative course for party organizations. The so-called ‘Second Republic’ opened and (allegedly) closed with two significant blows to party organizations, with the 1993 referendum and the 2014 party finance reforms repealing, respectively, state funding to party organizations and state reimbursement of the parties’ election expenses. What happened in between is a series of self-serve reforms that increased public funding to parties, disregarding the outcome of the 1993 referendum and further delegitimizing party organizations in the eyes of the public. The repeal of any form of direct public funding to parties was a late, ill-thought attempt to restore their social legitimacy. Party organizations with no funding from the state, little hope for contributions by grassroots party activists and negative net income on their financial statements are the present outcome of this reform process. The aim of the paper is to present an empirical and theoretical analysis on the effects of political funding reforms on the Italian party organizations.
The Personal Party, Release 2.0. How Political Parties Change in Italy
Fortunato Musella
AbstractPersonalisation is the most relevant political phenomenon of our time. After the decline of structural and ideological foundations of Western democracies, a radical shift from collective to individual actors and institutions has occurred in several political systems. Since Nineties, Italy has provided one of the most evident example of the rapid passage from particracy to the forerunner of deep changes leading to the centrality of political leaders. Berlusconi’s Forza Italia has provided a new model of party organization in our countries combining strong dominance of the leader with direct relationship with citizens. During the last two decades such a model largely proved to be able to prosper by diffusing in both left and right side of the political spectrum. Yet, especially after 2013 political election with the fast rise of 5 Star movement, it has become increasingly clearer that personal parties were changing their scopes and organizational structures. This article aims at understanding the evolution of personal parties by investigating the way in which they organize and communicate with its supporters, with particular reference to Italian new brand populist parties.
When it rains, it pours: Italian political parties and the challenge for legitimation from below
Chiara Fiorelli, Piero Ignazi
AbstractItalian mainstream parties are suffering a crisis of legitimation, which is described by the decreasing participation of members in supporting the central organization and by the continuous disappoint electoral results. In addition, intra-party organizational relationships seem to confirm this trend, with the party on the ground perceived as the big loser.
The legitimation crisis of traditional political parties occurs contemporary to the disposal of the public financial support of political competition, thus increasing the need for funding and individual commitment.
Efforts have been made to contrast the weakening participation and the related de-legitimation from the base: the spread of instruments such as primaries, or the increasing role of digital public debate are going in that direction.
The aim of this paper is to check if the democratization process undertaken by mainstream parties is related, and proved, to an increasing financial resource. According to the data analysed, referring to the last 20 years, organized political parties reached to survive but the balance between members ‘support and private donations is directing the attention toward a different model of legitimation.
Chairs: Roberto Biorcio, Paolo Natale
Discussants: Roberto Biorcio, Paolo Natale
Radicamento e profilo socio-economico-territoriale del Movimento Cinque rispetto alle altre forze politiche. Il caso Napoli.
Ciro Clemente De Falco
AbstractLe elezioni del 4 marzo 2018 vedono vincitore il «Movimento Cinque Stelle» che ottiene alla Camera il 32,68% dei voti risultando la prima forza politica del paese e migliorando il risultato ottenuto nel 2013 quando ottenne il 25,5% delle preferenze. A Napoli il Movimento ottiene più della metà dei voti (52,7%), percentuale che è ben superiore alla media nazionale(+20 p.p) ma anche a quella del sud Italia (+7,5 p.p) e della stessa Campania (+3,2 p.p.). Napoli è l'unica grande città Italiana in cui i Cinque Stelle, alle elezioni del 2018, hanno ottenuto più della metà dei voti validi. L’ottimo risultato ottenuto nella città di Napoli è dovuto principalmente grazie al voto dei quartieri svantaggiati (De Falco, Sabatino, 2018). Nelle elezioni del 2018 a Napoli infatti vi è una netta sovrapposizione tra geografia socio-economica e geografia elettorale tant’è che, a livello di quartiere, il coefficiente di correlazione tra voti ai Cinque Stelle ed un indice di “svantaggio-sociale” (De Falco, Sabatino, 2018) è pari a 0.86. Napoli però non è un caso isolato, anche nelle altri grandi città d’Italia il Movimento Cinque Stelle ottiene risultati i migliori nelle aree svantaggiate. Il voto dei quartieri svantaggiati napoletani, perlopiù localizzati in periferia, ai Cinque Stelle è un dato che pone in evidenza anche un’altra questione: i residui di voto d’appartenenza, che sopravvivevano dagli anni ’70, sono stati apparentemente cancellati (Sabatino, 2018). Inoltre, se negli anni ’70 il voto di alcuni quartieri periferici era il prodotto di un’identità politica generata anche dalla composizione di classe, nel 2018 il voto di questi quartieri non pare essere legato a nessuna identità politica, né essere associato ad una forte presenza sul territorio dei Cinque Stelle.
Assodata l’attuale vocazione “periferica” del Movimento Cinque Stelle nella città di Napoli, l’obiettivo che la ricerca si propone è di individuare somiglianze e differenze rispetto agli altri partiti che hanno concorso alle elezioni per la Camera dei Deputati nella Seconda Repubblica sia dal punto di vista delle caratteristiche socio-economiche e territoriali che dal punto di vista del tipo di azione politica sul territorio. Al primo interrogativo si risponderà attraverso “l’analisi ecologica della scelta di voto” che avrà come unità d’analisi il quartiere e come fonte i dati relativi ai censimenti dal 1991 al 2011 per le informazioni socio-economiche e i dati provenienti dall’archivio elettorale del Comune di Napoli per i risultati elettorali. Al secondo interrogativo si risponderà invece attraverso interviste a testimoni privilegiati.
Bibliografia
Cepernich, C., & Vignati, R. (2016). Saper governare bene non basta: il caso Torino. In M. Valbruzzi, & R. Vignati, Cambiamento o Assestamento? Le elezioni amministrative 2016 (p. 23-42). Bologna: Misure/Materiali di Ricerca dell'Istituto Cattaneo.
Cox, K. (1969). Voting in the London suburbs: a factor analysis and a causal model. In M. Dogan, & S. Rokkan, Quantitative ecological analysis in the social sciences (p. 343-370). Cambridge MA: The MIT Press
Brancaccio, L., & Martone, V. (2012). Nuove strategie di consenso a Napoli. Il ceto politico nel decentramento comunale. Meridiana(70), p. 17.
De Falco C.C, Sabatino P. (2018). Il comportamento elettorale delle aree marginali. Una proposta di analisi.
.Sociologia Italiana–AIS Journal of Sociology, 12
De Falco C.C, Sabatino P. (2018). Il comportamento elettorale delle aree marginali alle elezioni politiche del 4 marzo. Il caso di Napoli e Milano. Ricerca presentata al convegno “Politica, città e sistemi sociali”. Roma, 20-21 settembre 2018
Sabatino P. (2018). Periferie napoletane al voto: tra “nuove” geografie elettorali e “vecchio” ceto politico.
Continuità e mutamento nell’elettorato M5s in un anno di governo del paese
Paolo Natale, Roberto Biorcio
AbstractIl successo del M5s nelle elezioni nazionali del 2018 e la successiva partecipazione al governo, insieme alla Lega, hanno provocato importanti cambiamenti nell’elettorato, che si è dapprima notevolmente ampliato e trasformato, per poi ridursi nei mesi successivi all’impegno nell’esecutivo, testimoniato dai relativi insuccessi nelle amministrative tenutesi in numerose regioni italiane e, in ultimo, dai risultati delle elezioni europee del maggio 2109.
Obiettivo del paper è quello di analizzare in profondità il tipo di cambiamento che ha vissuto l’elettorato, sia in termini quantitativi che qualitativi, con un enfasi particolare sull’appeal a livello territoriale e all’interno delle diverse fasce di popolazione.
L’analisi prenderà l’avvio dalla situazione emersa in corrispondenza dell’elezione politica del 2018, per comprendere i passaggi che hanno portato il Movimento al suo (relativo) insuccesso delle ultime elezioni europee, in termini di flussi di voto e delle caratteristiche dell’elettorato.
Dalla piazza alla media logic. L’evoluzione delle strategie comunicative del M5S tra istituzionalizzazione e organizzazione
Roberto De Rosa, Dario Quattromani
AbstractIl cambiamento organizzativo e istituzionale che ha avuto luogo nel M5S, a partire dal 2013-14, ne ha profondamente influenzato lo stile e le strategie comunicative. Questo spostamento è iniziato a manifestarsi con la campagna elettorale condotta nel 2016 a sindaco a Roma e poi proseguita con le successive elezioni nazionali del 2018 e infine le elezioni del Parlamento europeo del 2019.
Il fatto che la prima campagna elettorale del 2013 sia stata caratterizzata dall'inesperienza del movimento è ampiamente riconosciuto e, come conseguenza, dal 2016 in poi la necessità di promuovere delle strategie organizzative e comunicative era sentita come una necessità dovuta alla grande pressione esercitata dal consenso ricevuto.
Il nostro obbiettivo è di evidenziare i fattori di pressione che hanno condotto a tale cambiamento e descrivere le strategie adottate, il contesto di relazione dinamico con avversari ed alleati e mostrare come il processo di istituzionalizzazione abbia contribuito o meno a tale cambiamento.
La personalizzazione è il primo tabù che viene rotto in un processo in cui l’attenzione verso i media e la logica a loro connessa. In altre parole il M5S prende atto che nelle competizioni elettorali ma anche poi nel post politico, i candidati devono considerare non solo le aspettative degli elettori, i punti di forza e di debolezza del referente politico come quelli dell'avversario, e infine anche il contesto in cui si svolgono le elezioni.
L'impostazione comunicativa appare quindi, più che mai influenzata dai nuovi media e soprattutto dai social network. Naturalmente le forme tradizionali di comunicazione si svolgono anche se sembrano rivolte in particolare a militanti / attivisti, mentre le principali fonti di influenza sono il consiglio di conoscenti, i commenti pubblicati online e altri contenuti editoriali: in pratica c'è il ritorno del passaparola.
Le Personal Issues sono più marcate, ma anche perché connaturate ad un certo stile discorsivo populista emergono con forza elementi che possono essere ricondotti a quelle che potremmo definire Emotional Issues: Popolo vs. Elite, rigenerazione e cambiamento, delegittimazione dell’avversario.
IL periodo di analisi parte dal 2013 (con l’analisi delle campagne elettorali locali e nazionali) fino al giugno 2019 (post EEP 2019).
La relazione tra Movimento 5 Stelle e campagne di protesta LULU (Locally Unwanted Land Use): un'analisi diacronica pre e post 4 marzo
Paola Imperatore
AbstractIl presente contributo si propone di indagare la relazione tra il Movimento 5 Stelle (M5S) e le campagne di protesta LULU (Locally Unwanted Land Use) prima e dopo la vittoria del M5S alle elezioni politiche del marzo 2018. La tematica delle grandi opere e delle attività ad alto impatto ambientale (TAV, TAP, Muos, Ilva, Grandi Navi, ecc.) è stata centrale nella campagna elettorale del M5S, che, nell’ultimo decennio, si è guadagnato grande protagonismo nei conflitti LULU (Mosca, 2014) finendo per rappresentare un alleato delle campagne di protesta locali, confermato anche dai significativi risultati elettorali ottenuti in comuni attraversati da questo tipo di tensioni (Ibidem). Tuttavia, in seguito alla vittoria delle elezioni politiche e all’alleanza con la Lega, sostenitrice delle grandi opere, le relazioni tra campagne LULU e M5S si sono inclinate. Il partito è stato considerato dal suo stesso elettorato come distante dai territori che lo avevano sostenuto, e che lo hanno giudicato negativamente in questi primi mesi di operato. Il cambiamento promesso, si è tradotto per gli attivisti locali in un tradimento e il M5S è stato accusato di comportarsi come i tradizionali partiti, da sempre oggetto di aspre critiche da parte del partito. Partendo da queste considerazioni, il paper vorrebbe indagare le relazioni tra movimenti ambientalisti locali e M5S in prospettiva diacronica. Da una parte risulta interessante osservare le modalità attraverso le quali il M5S ha tratto risorse elettorali a livello locale, piano sino ad oggi sottostimato a fronte di una copiosa letteratura che ne indaga il livello nazionale (Biancalana, 2017). Dall’altra, si impone la necessità di analizzare le trasformazioni nella relazione tra i due attori post 4 marzo e le conseguenze in termini di mobilitazione, strategie di azione e frame indagando i cambiamenti interni al M5S stesso. A tal fine si propone una comparazione delle interazioni tra M5S e tre campagne di protesta LULU (No Grandi Navi, No TAP, No Cave) per comprendere e approfondire l’analisi di tale fenomeno e osservare come questo si sviluppi in diverse aree del paese caratterizzate da subculture territoriali, comportamenti elettorali e livello del conflitto (locale vs. nazionale) differenti. La ricerca sarà condotta con una metodologia qualitativa basata, tra le varie, su interviste in profondità, frame analysis dei documenti elaborati dagli attori del conflitto e analisi della rassegna stampa.
Le campagne digitali del M5s 2018-2019. Dalla squadra al leader?
Carmelo Lombardo, Maria Paola Faggiano, Raffaella Gallo
AbstractUno sguardo attento alla storia politica recente evidenzia la progressiva e multidimensionale evoluzione del M5s (Biorcio, Natale, 2013, 2018; Corbetta, 2017). L’aspetto della sua trasformazione su cui si concentra il paper è ricercato nell’analisi delle strategie comunicative da esso adottate nel corso delle ultime campagne elettorali (Politiche italiane 2018/Europee 2019 - entrambe analiticamente osservate nella settimana iniziale e finale), con specifico riferimento all’attività di posting su Facebook, il canale digitale notoriamente più utilizzato dal Movimento per dialogare con il suo elettorato.
Tra gli obiettivi dell’indagine - condotta combinando le tecniche dell’analisi del contenuto come inchiesta (applicata all’intero corredo multimediale dei messaggi scaricati nell’unità temporale considerata: testo, immagini, video, link) e dell’analisi lessicometrica dei post (applicata alla componente strettamente testuale), figurano: la registrazione dei toni e della strategia comunicativa prevalente; l’approfondimento della dimensione leaderistica (Biorcio, 2015; Diamanti, Lazar, 2018); l’esplorazione di temi, attori e contesti rilevanti.
L’elemento interessante di questo confronto risiede nel fatto che la prima campagna vede come protagonista un M5s che aspira a divenire forza di governo, mentre la seconda lo trova impegnato a riconquistare un posizionamento di spicco nell’agone politico, in considerazione dell’evidente calo registrato nei sondaggi e nelle elezioni a carattere locale dell’ultimo periodo, in parte connesso con la crisi d’identità scaturita dalla collaborazione di governo con la Lega. D’altra parte, l’evidente importanza della Lega nel destino del M5s induce ad estendere l’analisi, sia per il 2018 che per il 2019, anche all’attività di posting del partito di Salvini. Ciò al fine di cogliere gli eventuali elementi di continuità/discontinuità nella comunicazione del M5s e di evidenziare tratti distintivi/affinità tra i due partiti al governo.
A tale analisi si aggiunge quella focalizzata sul dato percettivo registrato attraverso interviste in profondità rivolte ad elettori del M5s e di altri partiti, chiamati – in seguito ad una web survey condotta alla vigilia delle politiche 2018 (Lombardo, Faggiano, a c. di, 2019) – ad esprimere, a un anno dal voto, i propri sentimenti verso la politica e i politici italiani e ad approfondirne le ragioni, focalizzando l’attenzione sul contesto italiano prima e dopo la formazione del governo giallo-verde.
Round table
Luca Verzichelli – Moderatore
Intervengono
Jean Louis Briquet - Azione politica e radicamento territoriale. Un’analisi del mestiere politico
Vittorio Mete – Fare politica in tempi di antipolitica
Filippo Tronconi – Il professionismo politico ai tempi del populismo
Chairs: Vittorio Mete, Luca Verzichelli
Round table
Tavola Rotonda coordinata dagli Standing Group
Studi regionali e politiche locali e Sistema politico italiano
Coordinano
Patrizia Messina
Filippo Tronconi
Intervengono
Davide Vampa
Regionalismo differenziato: il caso italiano in prospettiva comparata
Gianfranco Viesti
Autonomie regionali da Nord e a Sud e unità nazionale
Claudia Tubertini
Regionalismo differenziato: il caso dell’Emilia Romagna
Davide Gianluca Bianchi
Regionalismo differenziato: il caso della Lombardia
Sandro De Nardi
Regionalismo differenziato: il caso del Veneto
Chairs: Patrizia Messina, Filippo Tronconi
Round table
Partecipanti:
Marco Almagisti
Valentine Lomellini
Cecilia Bergaglio
Michele Sorice
Chairs: Marco Almagisti, Valentine Lomellini