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Sisp Conference 2019

Sections and Panels

Section 1 - Qualità della Democrazia (Quality of Democracy)

Managers: Davide Gianluca Bianchi (davidegianluca.bianchi@gmail.com), Fulvio Venturino (fventurino@unica.it)

Read Section abstractQuesta sezione si propone di accogliere panel rivolti ad analizzare la qualità della democrazia studiata dal punto di vista dell’empirical political theory, senza tuttavia escludere a priori possibili approcci di normative political theory. In questa cornice, sono state individuate alcune tematiche fondamentali sulle quali orientare l’attenzione degli studiosi interessati ad avanzare proposte di panel in occasione del Convegno SISP 2019. Ciascuna di queste tematiche presuppone un’analisi comparata, che tenga debitamente in conto i diversi fattori interni e internazionali, di tipo strutturale o congiunturale, coercitivo o spontaneo, che hanno condizionato i regimi democratici e il suo rendimento istituzionale.
Il primo tema è legato al concetto stesso di “qualità della democrazia” e alla sua possibile declinazione operativa nel lavoro di ricerca. È possibile immaginare un approccio qualitativo allo studio dei regimi democratici che guardi in primo luogo ai problemi sostanziali, vale a dire al soddisfacimento delle aspettative dei cittadini (qualità dei risultati), oppure al godimento da parte loro di quote significative di libertà ed eguaglianza politica (qualità dei contenuti); d’altro canto, si può osservare il regime politico in oggetto prestando soprattutto attenzione alle “liturgie” costituzionali e alla loro capacità di inverare i valori democratici (qualità procedurale). Alla luce di queste premesse, la ricerca politologica ha identificato almeno otto dimensioni in grado di definire la qualità democratica: in ordine alle procedure, la rule of law, la partecipazione, la competizione e l’accountability, sia nella dimensione orizzontale che verticale; in riferimento agli aspetti sostanziali, le libertà civili e politiche e l’uguaglianza. L’ultima dimensione – la responsiveness – si pone a cavallo fra le questioni procedurali e quelle sostanziali. Questa sezione accoglierà con favore proposte tese a utilizzare il paradigma qualitativo per valutare le performance democratiche di specifici sistemi politici, preferibilmente studiati in prospettiva comparata. Con lo stesso interesse verranno considerate proposte mirate a innovare e/o integrare sul piano teorico il paradigma di ricerca ideato da Leonardo Morlino, sia attraverso l’utilizzo di dataset originali, sia mediante l’identificazione di nuove (possibili) dimensioni qualitative della democrazia.
Il secondo ambito tematico attiene all’analisi empirica della democrazia a livello generale, con riferimento alla sua evoluzione e, in particolare, alla crisi del modello liberaldemocratico occidentale. Evidentemente il tema della crisi democratica può essere declinato in diversi modi: da un lato, la letteratura più recente si è soffermata sulla perdita di legittimità delle democrazie avanzate, individuando una serie di nessi causali ricorrenti che consentono di operare
generalizzazioni di piccolo o medio raggio. In questo modo, ritornando su tematiche e questioni in parte affrontate nel dibattito degli anni ’70, un altro aspetto cruciale, emerso in questi ultimi anni a causa dei ripetuti attentati terroristici che hanno colpito i paesi occidentali (e non solo), è legato al rapporto tra democrazia e sicurezza. Tale legame può essere inteso sia in termini di percezione da parte della società civile della capacità dei governi di tutelare l’ordine pubblico e l’incolumità fisica dei propri cittadini, sia come trade-off tra libertà (individuale) e sicurezza (collettiva) e, in questo senso, si ripropone il tema dei limiti della/alla democrazia.
Il terzo tema riguarda la trasformazione e la sostenibilità della democrazia. In primo luogo, la questione della “sostenibilità democratica” si pone a seguito delle pressioni migratorie e della ridefinizione delle comunità politiche. Sebbene idealmente e storicamente la democrazia si sia fondata sul riconoscimento dell’individuo e sulla tutela dei suoi diritti, è innegabile che tale riconoscimento sia avvenuto prevalentemente nell’ambito di comunità politiche relativamente coese e omogenee. Anche dove le comunità “autoctone” e “nazionali” si sono mostrate più aperte, come è avvenuto in Francia e Gran Bretagna per effetto dell’integrazione crescente di individui e classi sociali che provenivano dai territori coloniali emancipati, il riconoscimento dei diritti civili è stato spesso collegato all’accettazione di un determinato modello di comunità (si pensi alla cosiddetta “assimilazione” che ha caratterizzato il caso francese). Oggi, tuttavia, il nesso immediato tra diritti e “assimilazione” nella comunità nazionale non appare più così praticabile, sia a causa della dimensione che il fenomeno migratorio sta assumendo, sia a causa delle conseguenze che esso sta producendo sul piano politico in quasi tutti i paesi occidentali, come dimostra la crescita di partiti e movimenti euroscettici, xenofobi e ultranazionalisti. Vi sono nondimeno problemi di “sostenibilità” in ordine all’impatto della crisi economica, oramai di medio-lungo periodo (2008), sul funzionamento delle democrazie mature e, nello specifico, sulle svariate dimensioni (procedurali, di risultato e di contenuto o, se si vuole, formali e sostanziali) che contraddistinguono le democrazie rappresentative e la loro qualità.
Muovendo da questo framework, le proposte di panel relative alle tematiche qui indicate a titolo esemplificativo possono riguardare tanto i contributi di carattere teorico, quanto le ricerche qualitative e quantitative.

Thursday 12th September 2019
  Studium 6 - Aula 4-C2 10.15-12.00
Friday 13th September 2019
  Monastero - Sala gradonata 11.15-13.00
Saturday 14th September 2019
  Studium 6 - Aula 2-B1 09.00-10.45, 11.15-13.00

 

Panel 1.1 Open government e innovazione digitale nei processi di governo


A fronte di un quadro di sfiducia verso la politica e di crisi di legittimazione sia degli attori tradizionali della rappresentanza che delle forme – vecchie e nuove – della partecipazione politica, soprattutto negli ultimi dieci o quindici anni si sono registrate diverse sperimentazioni e innovazioni, sia del modo in cui le istituzioni del settore pubblico si relazionano con il settore privato e con i cittadini in generale, sia (in più rari casi) del modo in cui vengono disegnati e organizzati gli stessi processi decisionali interni delle amministrazioni pubbliche. Se la visione dell’open government (Lathrop e Ruma 2010; De Blasio e Sorice 2016) ha dato a queste sperimentazioni una propulsione concettuale, le molteplici forme dell’innovazione digitale hanno fornito in molti casi strumenti e applicazioni pratiche dalle potenzialità crescenti. Si è, d’altra parte, passati da un’iniziale fase di entusiasmo e di tecno-ottimismo a un periodo di consapevolezza più matura e disincantata rispetto a limiti e rischi di un’innovazione non adeguatamente concepita in termini di valori democratici e di qualità delle procedure.
Scopo di questo panel è riflettere sulla rilevanza di sperimentazioni concrete di open government e sulle innovazioni tecnologiche che permettono il ripensamento dei processi di governo e del rapporto tra settore pubblico, soggetti privati e cittadini in generale (per esempio con riferimento a smart cities e intelligenza artificiale, uso di open data e big data nelle varie fasi del ciclo di policy, processi di crowdlaw, gamification, portali della trasparenza etc.), incoraggiando una discussione centrata sull’impatto di queste iniziative in termini di qualità della democrazia e sulla comparazione di diverse esperienze nazionali ed internazionali. In particolare saranno privilegiati i contributi in grado di mettere in luce rapporto tra teoria dell’innovazione democratica e pratiche concrete, così come impatto e limiti di tali esperienze, attraverso casi singoli di studio e soprattutto analisi comparative.
1.1 Open government e innovazione digitale nei processi di governo

Chairs: Alberto Bitonti, Emiliana De Blasio

Discussants: Michele Sorice

Le tecnologie digitali possono essere driver di partecipazione dei cittadini al processo di decision making?
Valentina Cefalù
AbstractLo scopo di questo contributo è quello di analizzare come le tecnologie digitali possono essere driver per rinnovare la compartecipazione dei cittadini al processo di decision-making. Sono partita dall’osservare un caso di studio per esaminare l’influenza che Internet e le tecnologie digitali possono avere sulla partecipazione dei cittadini alla definizione delle policies. L’indagine è stata orientata dalle opinioni consolidate in letteratura al fine di trarre un bilancio – sulla base delle informazioni esistenti - dell’efficacia delle recenti policies volte a promuovere la partecipazione attiva dei cittadini. Il progetto “Danisinni & Ballarò intransito” sviluppato dal Comune di Palermo insieme ad Airbnb rappresenta il primo caso al mondo in cui i cittadini sono stati interpellati nel decidere come destinare l’imposta di soggiorno. Il percorso sperimentale di partecipazione civica si è sviluppato in 3 fasi: Laboratori di quartiere, Co-progettazione e Votazione finale (sia on line che off line) dei progetti, proposti e scelti dai cittadini per lo sviluppo locale e la riqualificazione territoriale. In conclusione, l’analisi mostrerà che un processo partecipativo può portare benefici solo se è incorporato in una "cultura della partecipazione".

Democratising the policy process: a critical analysis of democratic innovations for policymaking
Adrian Bua, Sonia Bussu
AbstractThis paper considers the role that online and offline democratic innovations can play in the policy process and develops a framework to improve understanding of the “transmission mechanisms” through which process outputs can inform policymaking (Dryzek 2010). We identify three main institutional qualities that offer an indication of the degree to which democratic innovations can contribute to democratising the policy process: reflexivity, responsiveness, and scalability. The first is technical in nature and refers to ensuring adaptability in order to respond to the complexity of policies. The second is normative and concerns increasing levels of responsiveness to enhance legitimacy. The third, scalability, represents a practical constraint and a persistent challenge to institutionalisation of mechanisms of direct participation of citizen in policymaking. These three elements are in tension as they tend to pull in different directions, raising a trilemma for institutional design. By differentiating between three broad categories of transmission mechanism design (consultative, empowered and power-sharing) and using some paradigmatic cases of democratic innovation, the paper argues that a systemic approach based on a sequence perspective can help unpick and resolve the tension between these three aspects and minimise the extent to which they constrain each other, albeit in imperfect ways. We examine recent examples of participatory systems, which take a citizen’s perspective to open up multiple channels and build participatory ecosystems integrating online and offline channels. However, based on the impact of recent attempts at building participatory systems, the paper warns against placing excessive faith in clever institutional design while overlooking agency and power.

Global governance in the age of emerging technologies. How new tools affect public services for the sustainability, well-being and economic productivity of societies.
Enzo Maria Le Fevre
AbstractThe scale, spread and speed of change brought about by digital technology is unprecedented. This change affected as well the international relations among countries and the relations between governments and the private sector racing for the control of Artificial Intelligence, blockchain or quantum computing and all emerging technologies. But these technologies are also tools able to assist societies in rendering countries more democratic and sustainable. This paper aims at providing students with a comprehensive outlook of the global governance of emerging technologies by also delivering an overview of the emerging threats to universal rights, namely digital-divide, privacy and disruption of men work as we intend it today linked with mistrust of politics and abuse of technology that the world is facing today. In particular, the paper aims at explaining the transformative processes of global governance, in terms of actors, venues, structures, issues and critical historical transitions around emerging technologies. Several case studies will be used to illustrate major themes. The constant dynamics between political, empirical and normative aspects will be highlighted by analysing basic concepts of international life, such as power, interests, values; roles, rules, identity, culture. As stated in the United Nations General Assembly resolution 72/242, the impact, opportunities and challenges of the changes brought about by digital technology on sustainable development, including in cases where changes may occur at an exponential pace, are not fully understood. Similarly, the speed of innovation and technology integration are equally disrupting societies and international relations, raising the question whether and to what extent these technologies should be adopted and governed by public institutions to generate the greatest positive impact and minimize possible risks. The GA resolution also recognizes the need for Governments at all levels, the private sector, international organizations, civil society, the technical and academic communities and other relevant stakeholders to be aware of the impact of the latest developments in new technologies in achieving the Sustainable Development Goals. The implementation of the 2030 Agenda continues to require international and multi-stakeholder cooperation so as to benefit from opportunities and address challenges in this regard, taking into account different national realities, capacities and levels of development, and respecting national policies and priorities. The fact that the speed with which technology is evolving surpasses the speed with which governments can respond to and use ICTs to their advantage is a case in point. Digital transformation, however, does not depend on technologies alone. It requires a comprehensive and integrated approach in public governance to offer accessible, fast, reliable and personalized services. While public sector data is crucial in realizing the transformative impact of digital technologies; collecting, analysing and utilizing the data still pose challenges for many. Some government institutions are far advanced in using the latest technologies such as artificial intelligence, blockchain in their digital government platforms, while others are still in the preliminary stages of their e-government development and remain ill-prepared for such transformation. Governments often respond by developing necessary policies, regulations and strategies, but face challenges in “hitting the market” fast enough. In adapting rapid technological changes, governments should also consider such principles as effectiveness, inclusiveness, accountability, trustworthiness and openness, as highlighted in Goal 16 of the SDGs, and be aware of the ethical aspects and human rights implementation of digital systems.

La disciplina della digitalizzazione nella PA tra la varietà delle fonti e l'unicità del responsabile per la transizione digitale: un nuovo paradigma nel contesto italiano della strategia per la crescita digitale
Matteo Trapani
AbstractIl contesto digitale italiano si inserisce in una governance multilivello dell’agenda digitale che interessa numerosi settori della società. Trattare di “digitale” oggi risulta essere ancor più complesso sia per la difficoltà che si riscontra nell’individuare le fonti di produzione sia per la mancanza di un vero e proprio soggetto in capo al quale è possibile riconoscere l’esclusività della pianificazione strategica. Lo stesso contesto di riferimento ha subito una trasformazione ontologica: il legislatore, ad ogni livello, ed i vari decisori politici, hanno la necessità di superare quell’approccio sostanzialistico della digitalizzazione dei processi già in essere. Tutto ciò portava la digitalizzazione ad essere identificata come mero motore e strumento di comunicazione dell’innovazione mentre con il nuovo approccio si ha l’intenzione di affermare una nuova centralità di cittadini ed imprese, anche dal lato delle garanzie di accessibilità dei dati e della riservatezza e non solo da quello della fruizione dei servizi, per porre un impulso di trasformazione sociale, economica ed istituzionale prodromico ad un investimento pubblico per una riforma strutturale del Paese. Un passaggio, sofferto e complesso, dall’homo sapiens all’homo technologicus , ove l’interesse si sposta dalla modalità di fruizione dei servizi alla stessa entità e struttura delle istituzioni, passando da una amministrazione che fornisce servizi anche digitali ad un cittadino che, per veder garantiti al meglio i propri diritti, è al centro di una infrastruttura digitale. L'open government rappresenta una delle principali innovazioni che hanno interessato la PA sempre più coinvolta da processi di codecisioni condivisi e da una continua esigenza di bilanciamento tra la trasparenza e la totale accessibilità del dato. Numerose le normative di settore che hanno interessato la digitalizzazione della PA negli ultimi anni e che interessano l'accesso, la trasformazione digitale, l'utilizzo delle tecnologie emergenti e la strategia nazionale di amministrazioni centrali e locali per la transizione al digitale. Interessanti a tal proposito le previsioni contenute nel Piano Triennale per la PA che mirano, tra le altre cose, a razionalizzare la spesa, definire regole di interoperabilità ed usabilità, invertire il paradigma della PA come definitrice di servizi e il cittadino come mero utilizzatore, rendere i processi più sicuri, anche mediante un utilizzo maggiore del cloud, del principio della privacy by design e by default, oltre che a prevere la figura del Responsaboile per la Transizione digitale. Tutto ciò cambia quindi la stessa struttura della PA che trova proprio in quest'ultima figura (disciplinata da una recente circolare Ministeriale) un nuovo responsabile che ha il compito non solamente di coordinare le azioni interne in tema di digitalizzazione ma anche di riconnettere in un unico indirizzo amministrativo figure già presenti nella PA e che, a vario titolo, sono preposte al controllo e all'implementazione della trasparenza, della privacy, dell'anticorruzione e della garanzia dei servizi nei vari settori. Necessario quindi interrogarsi su questa innovazione ontologia della digitalizzazione anche a partire proprio dall'individuazione delle fonti che possono interessare i vari processi e che, negli ultimi anni, hanno visto una loro netta diversificazione sia per quanto riguarda l'organo competente (dal diritto interno a quello euronitario) sia per quanto riguarda la tipologia della fonte (dal CAD alle linee guida) e che troveranno sempre più un loro motivo di interesse scientifco in stretta relazione allo sviluppo delle tecnologie emergenti ed alle questioni che ne potranno derivare sia dall'utilizzo di quest'ultime come fonte di produzione e di cognizione sia come oggetto delle scelte del legislatore che è chiamato a regolarne l'uso.

Le piattaforme di open government tra design, strategia di governo e coinvolgimento dei cittadini
Donatella Selva, Emiliana De Blasio
AbstractNegli ultimi anni è cresciuto notevolmente il numero di istituzioni che hanno sviluppato piattaforme online per favorire la partecipazione dei cittadini e la collaborazione con attori privati. In particolare, le città europee hanno mostrato una grande vitalità nel design di processi partecipativi online, all’interno della più ampia open government agenda. Nonostante la diversità di approcci e tradizioni di policy, le amministrazioni urbane sembrano convergere verso modelli condivisi di democrazia digitale. L’obiettivo di questo paper è offrire uno sguardo comparativo sulle città italiane, spagnole e britanniche per descrivere il design partecipativo e identificare i fattori di successo delle esperienze di democrazia digitale. La ricerca è stata svolta in due fasi: la prima fase consiste in una survey delle piattaforme urbane presenti in Italia, Spagna e UK, per ricostruire le dimensioni del fenomeno seguendo una logica quantitativa. La seconda fase costituisce un approfondimento qualitativo operato su tre città per Paese, selezionate come casi studio in base alle caratteristiche emerse durante la precedente fase. L’analisi mostra che il design delle piattaforme urbane è caratterizzato da un basso livello di legittimazione, al quale corrisponde anche un basso livello di qualità deliberativa, ma non è possibile determinare con certezza l’esistenza di una relazione di causalità tra le due dimensioni. Casi di eccellenza che mostrano un alto livello di legittimazione e di qualità deliberativa sono una minoranza, ma hanno la capacità di imporsi sullo scenario europeo come modelli cui ispirarsi. In tali casi, il successo delle piattaforme di partecipazione dipende da una combinazione di fattori: design, dimensione strategica, coinvolgimento dei cittadini. Sicuramente gioca un ruolo di primo piano la scelta di integrare diversi strumenti partecipativi nel design della piattaforma, consentendo ai cittadini di esprimersi secondo livelli differenziati di impegno. Un altro fattore dirimente è la presenza di una chiara strategia politica, cui corrisponde normalmente una policy e/o un organo di governo responsabile per la sua implementazione (come un assessore, un ufficio, una cabina di regia, ecc.). Un altro fattore chiave per il successo delle piattaforme partecipative è relativo alla capacità comunicativa delle amministrazioni e in particolare alla loro abilità nel coinvolgere i cittadini in un processo di costruzione o ri-significazione delle comunità locali.

 

Panel 1.2 Crisi "della" democrazia, o crisi "nella" democrazia? (I)


Convegno SISP 2019 – Università di Lecce, 12-14 settembre 2019
Sezione 1. Qualità della democrazia

Proposta di panel
Crisi della democrazia, o crisi nella democrazia?
Chairs: Francesco Raniolo, Davide G. Bianchi
Discussant: da definire

Abstract
Come è stato giustamente osservato da più parti, la democrazia (rappresentativa) può facilmente muovere verso la “crisi”, perché è il regime politico più di ogni altro orientato alla trasformazione e all’adattamento nei confronti della mutevole realtà sociale ed economica. La “crisi della democrazia” è quindi un topos classico della riflessione politologia: basti pensare, per fare un facile esempio, al Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione trilaterale, firmato da Michel Crozier, Samuel P. Huntington e Joji Watanuki nel 1975, che esplicitamente metteva a tema l’argomento.
La Grande Recessione del 2008, l’elevata disoccupazione e le crescenti diseguaglianze, la sfiducia e la scarsa partecipazione dei cittadini sembrano segnalare delle analogie con il periodo fra le due guerre mondiali che vide il sorgere dei regimi autoritari del Novecento. È legittimo quindi un parallelismo con quella fase storica? Se ne può dubitare proprio in ragione del “consolidamento” che la democrazia ha conosciuto negli ultimi decenni in Occidente, sia in termini culturali che strutturali. Nondimeno, esistono criticità di varia natura che investono i regimi democratici e loro il funzionamento sia “in entrata” che “in uscita”, legate alla costante crescita della disaffezione dei cittadini verso le istituzioni; alle difficoltà dei partiti mainstream nel reiterare il consenso di massa del passato, a fronte della crescita dei new parties; agli effetti sviluppati nei confronti del welfare dal rigore finanziario imposto dalla crisi economica; all’impatto della rivoluzione digitale e ad altre cause non meno importanti. Al riguardo il dibattito pubblico e scientifico internazionale si è arricchito di espressioni quali “post-democrazia” (Crouch), “de-democratizzazione” (Tilly; Lawson 2004), “de-consolidamento delle democrazie” (Eisenstadt; Mounk), per citarne solo alcune. Si tratta quindi di crisi della democrazia, o più propriamente di crisi nella democrazia rappresentativa? Dal punto di vista empirico della scienza politica ci sembra più corretta la seconda espressione: «La crisi nella democrazia è, in particolare, crisi di rappresentanza, la quale a sua volta è insieme crisi d’efficienza/efficacia e di legittimità» (Martinelli). Queste ultime sono dimensioni strettamente connesse in grado di definire la qualità democratica di un sistema politico.
Alla luce di queste rapide annotazioni il panel intende promuovere una riflessione multidisciplinare e interdisciplinare, e metodologicamente pluralistica, sul tema della crisi “nella” democrazia. Quali sono gli indicatori della crisi di rappresentanza? Quali le cause più specifiche della crisi di efficienza e legittimità? Quali le conseguenze che si possono ipotizzare nel breve e nel medio periodo? Come la crisi nella democrazia può essere analizzata dalla prospettiva della qualità democratica? E soprattutto che rapporto c’è – o può esistere – tra crisi nella democrazia e crisi della democrazia?
1.2a Crisi "della" democrazia, o crisi "nella" democrazia?

Chairs: Davide Gianluca Bianchi, Francesco Raniolo

Discussants: Alessandro Campi

Dalla crisi nella democrazia alla crisi della democrazia: consenso per sfiducia
Franco Maria Di Sciullo
AbstractLe cause della crescente disaffezione verso la politica e del progressivo distacco della cittadinanza dalle istituzioni (Crouch; Tilly; Rosanvallon 2006) sono state a volte individuate in fattori parzialmente esterni ai sistemi politici, come la perdita d’influenza dei centri di potere elettivi di livello statal-nazionale di fronte alla spersonalizzazione e alla de-localizzazione dei decisori, o la ridefinizione planetaria della geografia del potere conseguente alla globalizzazione (Hardt-Negri; Sassen; Tourain). In altri casi, si sono enfatizzati la modifica e l’indebolimento del nesso di rappresentanza (Saward; Tormey) o l’incapacità di gestire le ricadute sociali della crisi economico-finanziaria dell’ultimo decennio da parte delle forze politiche tradizionali (Balibar; Rosanvallon 2011; Stiglitz 2015). La crisi della democrazia è stata per lo più vista come crisi nella democrazia. Questi approcci non hanno dato sufficiente risalto al funzionamento del meccanismo di fiducia, che ha nel nesso di rappresentanza la sua espressione politica più qualificante, ma non si esaurisce in esso. La fiducia, sul piano mentale prima che su quello politico, è necessaria per partecipare a un sistema sociale altamente complesso. Essa riduce mentalmente i possibili sviluppi futuri della realtà e porta le possibilità e le alternative da considerare a una quantità gestibile (Luhmann; Hardin; Putnam; Fukuyama 1995; Uslaner). La crisi ha condotto all’affermazione di forze politiche populiste e antisistema che hanno capovolto il ruolo della rappresentanza e della fiducia. La loro strategia si è basata su un attacco diretto al sistema e ai suoi pilastri portanti, a cominciare dalla scienza e dalla competenza (Nichols). La costruzione del consenso è avvenuta dunque per sfiducia anziché per fiducia. Gli eletti hanno ottenuto il mandato di rappresentare la sfiducia degli elettori. Questo pone seri problemi. Una volta generalizzata, la sfiducia perde il valore di sostituto funzionale della fiducia, erode il capitale sociale disponibile e mette a repentaglio anche la motivazione minimale a confidare nel funzionamento e nella tenuta del sistema. Se ha successo una strategia che investe le ragioni del confidare nel sistema del quale si è parti, il sistema rischia di risultare ingovernabile e non riformabile. La crisi nella democrazia si risolve in crisi del sistema democratico.

Dalla tecnocrazia all’iperpolitica e ritorno. Riflessioni sulla tecnica e la qualità della democrazia.
Matteo Zanellato
AbstractCome è noto, la democrazia rappresentativa è il sistema politico che più riesce a resistere alle pressioni provocate dall’esterno, adattandosi ai mutamenti della realtà economica e sociale. La rivoluzione tecnologica in atto, però, è in contrasto con alcuni capisaldi del suddetto sistema politico. Rispetto alla letteratura scientifica che si occupa di qualità della democrazia, si ritiene che le analisi necessitino di un elemento che tenga in considerazione le condizioni in cui gli individui vivono. In altre parole, si intende collocare i cambiamenti alle dimensioni di qualità della democrazia come variabile dipendente dei cambiamenti dei processi democratici e delle istituzioni apportati dalla società amministrata nell’età della tecnica. L’esponenziale aumento dei mezzi tecnologici utilizzati ha mutato l’ambiente in cui viviamo e il nostro modo di relazionarci con questo e con gli altri individui. Questa trasformazione, inizialmente generata da diversi elementi sconnessi tra di loro, oggi non può essere considerata soltanto la somma dei mezzi ma necessita di un’analisi approfondita che tenga conto della tecnica come un fenomeno più complesso e definibile come apparato tecnologico. In questo contesto, una delle caratteristiche è la riduzione del conflitto politico in favore di una gestione funzionale dei problemi politici. Partendo dalla domanda di ricerca «come cambiano le dimensioni della qualità della democrazia nell’età della tecnica?», in questo articolo si analizzerà il cambiamento dei partiti politici italiani in connessione alla riduzione del conflitto imposta dall’età della tecnica. Il paper ha due obiettivi: I) presentare l’agire politico nell’età della tecnica quale meccanismo causale che impatta sulle dimensioni della qualità della democrazia; II) studiare i cambiamenti dei partiti politici causati dal progresso tecnologico. La novità della ricerca consiste nella proposta di un incontro tra filosofia della tecnica e scienza politica, utile ad una migliore comprensione della contemporaneità. In questo paper si definiranno l’età della tecnica e il meccanismo causale che agisce sulle variabili dipendenti. Concentrandosi sulle dimensioni procedurali e di responsiveness, attraverso l’approccio dell’istituzionalismo storico si svolgerà un’analisi diacronica del sistema politico italiano repubblicano. Il focus sarà rivolto sulle linee di frattura, i voti, l’attività politica, i programmi e le politiche sostenute dai principali partiti.

Hiding inside words: Lega’s discourse on democracy
Maria Balea
Abstracthe present paper is an analysis of the use of “democracy” in the populist discourse of the Lega party, in Italy. The main hypothesis is that Lega’s discourse on democracy changes from 2014 to 2019 in accordance to the party’s transformation in the same interval of time. Democracy is used as a container-term in Lega’s discourse. I define a “container-term” as a concept that, in a discourse, performs the function of a recipient in which the communicator will introduce various narratives that do not have a conceptual relation with the chosen term. As a result, the meaning of the container-term will be influenced by the narratives it will comprise, and the narratives will borrow from the reputation of the container-term. The first part tackles the political context of Italy and Lega’s evolution in the Italian political landscape. The next part explains the use of the container-terms in the populist discourse. Subsequently, we look at why “democracy” can be an effective container-term, and we analyse the use of “democracy” as a container-term in the discourse of the party, using data obtained through monitoring the Facebook account of its leader, as well as the party’s official page. Used as a container term, democracy becomes, up to a certain point, what it contains. At the same time, the narratives of the populist discourse benefit from the prestige that democracy carries. Understanding the way these processes take place is essential for learning how and why populists talk about democracy.

Oltre il trend illiberale. I processi di autocratizzazione contemporanei.
Andrea Cassani, Luca Tomini
AbstractStiamo davvero assistendo al declino della democrazia liberale? Le grida di allarme si moltiplicano da più parti. Alcuni elementi inducono effettivamente a una diagnosi pessimistica. Uno di questi è l’ascesa, in un altrettanto crescente numero di paesi democratici di diverse parti del mondo, di nuovi leader e partiti che contestano apertamente alcuni dei principi fondamentali del liberalismo politico. Il dato è allarmante soprattutto se si considera che il successo di tali forze politiche è almeno in parte dovuto alle difficoltà che i governi in carica dei loro paesi incontrano nell’affrontare e risolvere le crisi economiche e sociali del nostro tempo, mentre alcune potenze non-democratiche straniere che questi leader in ascesa spesso citano come fonte di ispirazione mostrano oggi una performance invidiabile. D’altra parte, il fatto che l’ottimismo seguito alla fine della Guerra Fredda circa le sorti della democrazia nel mondo si sia dimostrato illusorio dovrebbe invitare alla cautela anche nel giudicare i più recenti segnali di allarme circa una vera e propria inversione di tendenza. Per contribuire a una più profonda comprensione della natura, della portata e dei possibili sviluppi del “trend illiberale” che sembra aver contagiato anche l’Occidente, questo paper si propone di riesaminare tale tendenza alla luce dei cambiamenti politici che anche il resto del mondo sta sperimentando. Allargare la prospettiva consente di riflettere su possibili similitudini e differenze tra quanto sta accadendo in questi anni in Europa e Nord America e quanto sta accadendo o è recentemente accaduto in altre regioni. Più nello specifico, con l’ausilio di nuovi dati, cercheremo di collocare il trend illiberale occidentale nel più ampio contesto dei cosiddetti processi di autocratizzazione contemporanei, nel tentativo di capire se e in che misura la crisi “nella” democrazia possa sfociare in una vera e propria crisi “della” democrazia e nella sua possibile fine. Il paper è organizzato come segue. La prima sezione traccerà brevemente la diffusione nel corso del periodo 1974-2018 di quattro principali forme di regime politico – ovvero, democrazia liberale, democrazia difettosa, autocrazia elettorale, autocrazia chiusa – coprendo dunque i quarantacinque anni trascorsi dall’inizio della cosiddetta terza ondata di democratizzazione. Verranno inoltre identificate le democrazie liberali “traballanti”, che nel corso degli ultimi cinque anni hanno sperimentato un declino del loro grado di liberalismo politico. Per cercare di comprendere la possibile sorte di tali regimi, la seconda sezione introdurrà il concetto di autocratizzazione, che denota i processi di cambiamento di regime opposti alla democratizzazione, e illustrerà le varie traiettorie che essa può seguire. La terza sezione presenterà l’analisi empirica, che si concentrerà sul solo 21esimo secolo, con l’obiettivo di individuare i principali trend di autocratizzazione contemporanei. Le ultime due sezioni saranno invece dedicate alla discussione dei risultati empirici. Da un lato, verrà sottolineato il principale rischio che le democrazie liberali attualmente in difficoltà corrono, ovvero un lento ma progressivo scivolamento verso forme di autocrazia elettorale. Dall’altro, si evidenzieranno anche alcune possibili buone notizie, tra cui la resistenza che le democrazie liberali più consolidate hanno finora mostrato e il fatto che l’autocratizzazione non sia necessariamente un viaggio senza ritorno, come alcuni recenti casi dimostrano.

 

Panel 1.2 Crisi "della" democrazia, o crisi "nella" democrazia? (II)


Convegno SISP 2019 – Università di Lecce, 12-14 settembre 2019
Sezione 1. Qualità della democrazia

Proposta di panel
Crisi della democrazia, o crisi nella democrazia?
Chairs: Francesco Raniolo, Davide G. Bianchi
Discussant: da definire

Abstract
Come è stato giustamente osservato da più parti, la democrazia (rappresentativa) può facilmente muovere verso la “crisi”, perché è il regime politico più di ogni altro orientato alla trasformazione e all’adattamento nei confronti della mutevole realtà sociale ed economica. La “crisi della democrazia” è quindi un topos classico della riflessione politologia: basti pensare, per fare un facile esempio, al Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione trilaterale, firmato da Michel Crozier, Samuel P. Huntington e Joji Watanuki nel 1975, che esplicitamente metteva a tema l’argomento.
La Grande Recessione del 2008, l’elevata disoccupazione e le crescenti diseguaglianze, la sfiducia e la scarsa partecipazione dei cittadini sembrano segnalare delle analogie con il periodo fra le due guerre mondiali che vide il sorgere dei regimi autoritari del Novecento. È legittimo quindi un parallelismo con quella fase storica? Se ne può dubitare proprio in ragione del “consolidamento” che la democrazia ha conosciuto negli ultimi decenni in Occidente, sia in termini culturali che strutturali. Nondimeno, esistono criticità di varia natura che investono i regimi democratici e loro il funzionamento sia “in entrata” che “in uscita”, legate alla costante crescita della disaffezione dei cittadini verso le istituzioni; alle difficoltà dei partiti mainstream nel reiterare il consenso di massa del passato, a fronte della crescita dei new parties; agli effetti sviluppati nei confronti del welfare dal rigore finanziario imposto dalla crisi economica; all’impatto della rivoluzione digitale e ad altre cause non meno importanti. Al riguardo il dibattito pubblico e scientifico internazionale si è arricchito di espressioni quali “post-democrazia” (Crouch), “de-democratizzazione” (Tilly; Lawson 2004), “de-consolidamento delle democrazie” (Eisenstadt; Mounk), per citarne solo alcune. Si tratta quindi di crisi della democrazia, o più propriamente di crisi nella democrazia rappresentativa? Dal punto di vista empirico della scienza politica ci sembra più corretta la seconda espressione: «La crisi nella democrazia è, in particolare, crisi di rappresentanza, la quale a sua volta è insieme crisi d’efficienza/efficacia e di legittimità» (Martinelli). Queste ultime sono dimensioni strettamente connesse in grado di definire la qualità democratica di un sistema politico.
Alla luce di queste rapide annotazioni il panel intende promuovere una riflessione multidisciplinare e interdisciplinare, e metodologicamente pluralistica, sul tema della crisi “nella” democrazia. Quali sono gli indicatori della crisi di rappresentanza? Quali le cause più specifiche della crisi di efficienza e legittimità? Quali le conseguenze che si possono ipotizzare nel breve e nel medio periodo? Come la crisi nella democrazia può essere analizzata dalla prospettiva della qualità democratica? E soprattutto che rapporto c’è – o può esistere – tra crisi nella democrazia e crisi della democrazia?
1.2b Crisi "della" democrazia, o crisi "nella" democrazia?

Chairs: Davide Gianluca Bianchi, Francesco Raniolo

Discussants: Alessandro Campi

Party system institutionalization and its consequences on democracy
Alessandro Chiaramonte, Vincenzo Emanuele
AbstractOver the last years, particularly after the hit of the post-2008 economic crisis, party systems in Western Europe have become increasingly unstable and unpredictable. Electoral volatility has generally increased, sometimes reaching unprecedented levels, and new parties have successfully emerged, thus changing the long-term established patterns of inter-party competition in the region. Given these outcomes, some scholars argue that Western Europe is experiencing an ongoing trend of party system de-institutionalization, whose consequences for democracy are still uncertain. So far, a large body of literature has explored the consequences of having a weakly institutionalized party system on democracy in Latin America and Central and Eastern Europe, emphasizing that it weakens electoral accountability, makes the system more vulnerable to the spread of populist discourses, negatively influences voters’ turnout and the incentives for politicians to curb corruption, and ultimately may foster the collapse of the democratic regime. However, such relationships have been overlooked in Western Europe, where highly institutionalized party systems have been the rule for a long time. This paper has the purpose to fill this gap by providing a systematic investigation about the consequences of party system de-institutionalization on democratic quality. Based on an original dataset combining systemic-level and individual-level data coming from multiple sources and allowing for cross-time and cross-country variation, the paper explores whether and to what extent the increasing instability and unpredictability of Western European party systems has negatively affected voters’ trust in political parties, institutions, and the democratic game.

Può esistere una «democrazia illiberale»?
Antonio Campati
AbstractCon un’intensità crescente, negli ultimi anni viene adottata l’espressione «democrazia illiberale» per indicare quei paesi nei quali è in atto un processo di deconsolidamento democratico. L’espressione non è di nuovo conio, infatti è comparsa nel dibattito politologico alla metà degli anni Novanta, ma prima ancora è stata adoperata anche nel dibattito pubblicistico con un’accezione prevalentemente polemica. L’insistenza con la quale viene riportata a galla suggerisce una ricognizione teorica per fare luce sulle differenti accezioni con le quali è stata ed è utilizzata. L’obiettivo primario di questo contributo è quello di capire se sia concettualmente corretto utilizzare questa espressione: può una democrazia essere illiberale? Secondo una consolidata tradizione di studi la risposta a tale interrogativo è senz’altro negativa dal momento che la liberal-democrazia è l’unica possibile forma di democrazia «effettiva»; al contrario, una democrazia non-liberale sarebbe semplicemente una democrazia «apparente». Dopo aver ripercorso i capisaldi di tale posizione, il contributo cercherà di collocare il discorso sulle «democrazie illiberali» in un contesto più ampio, quello della crisi dell’ordine liberale. L’intento è quello di far emergere quali sono gli elementi considerati «illiberali» in questi regimi per tentare di capire se la (presunta) avanzata delle «democrazie illiberali» possa minare effettivamente la combinazione tra principi liberali e democrazia.

Welfare chauvinism in Western Europe: What role for Welfare retrenchment policies?
Irene Landini
AbstractRecently, literature about electoral studies and democratic representation has been focusing on the existence of a tension between responsibility and responsiveness (Mair 2009, 2014) experienced by political parties, especially mainstream parties, in Western Europe. Relevant research has mostly focused on the possible determinants of parties’ responsiveness with regard to several policy issues. Moreover, differences in terms of responsiveness among different parties’ families have been explored too. This study builds on this literature and brings a further contribution to that. Namely, it aims at enabling a greater understanding of the impact of parties’ level of responsiveness upon electoral support, distinguishing between mainstream parties and challenger parties (De Vries and Hobolt, 2015; Hobolt and Tilley 2016). The underlying idea is that the tension between responsibility and responsiveness may stand for a key factor in determining the crisis of representative capacity and therefore democratic legitimacy and efficiency (Martinelli, 2013) experienced by mainstream parties. At the same time, an alleged higher responsiveness of challenger parties may provide an explanation to their electoral success in several Western European countries in recent times. However, differently from most contributions in the current literature, this causal relation is assessed at the individual level of analysis. Accordingly, the paper infers parties’ responsiveness to the public through the concept of issue saliency congruence between parties and individual voters in each of the country considered. As far as electoral support is concerned, this aggregate level concept corresponds at the individual level to the concepts of party preference and party preference change. Nevertheless, this analysis also differs from the few previous ones based on the individual level, in that it focuses on issues saliency congruence rather than policy congruence (Hobolt and Tilley 2016). The analysis is based on data from the Issue Competition Comparative Project (ICCP), including both a CAWI (two-wave panel) voter survey from 6 West European countries (namely, Austria, Italy, the UK, Germany and the Netherlands) and Twitter campaign data from official party accounts in the time-span between 2017 and 2018. This research aims at providing a sound contribution to the current literature dealing with representation crisis, with a focus on saliency congruence and its related impacts.

 

Panel 1.3 Post-secularism and post-democracy – focusing on the intersections


Contemporary European societies have been described as ‘post-democratic’ and ‘post-secular’. The rise of the extreme right, political disintermediation, the judicialization of the political sphere, citizens’ disaffection towards institutional politics, the personalization of politics, and issues’ polarization are some of the processes affecting the contemporary political sphere. At the same time, the relevant political role of religion-related issues, the pervasive voice of religious actors, the diffusion of religiously-inspired mobilizations, the diversification of European societies’ religious landscape, and the rise of religiously-motivated hatred characterize contemporary religions’ presence and religious experience.
In light of these processes, this panel focuses on the entanglement of the ‘post-secular’ and ‘post-democracy’ conceptualizations. Does post-democracy intervene on the traditional boundaries of secular societies? Can the analyses on post-secularisation shed light on the changing role of political ‘authority’? How do the two concepts interact in the context of contemporary democracies?
The panel welcomes both theoretical and theoretically grounded empirical papers (single case studies as well as comparative papers) on the following (but not exclusive) topics:
• Extreme right, populism, and religions (religious identity, religious freedom, religious diversity, debates and policies on religion-related issues, relations between parties and religious institutions, etc.)
• New religious movements and politics (new issues, new forms of religion/politics entanglements, etc.)
• Religion and democratization processes in the 21st century (the role of religion in new authoritarian trends in former democracies, religious actors in democratization movements, etc.)
• The post-secular state (role of religious institutions in policy-making, religion and political parties, new kinds of separation between church and state, etc.)
1.3 Post-secularism and post-democracy - focusing on the intersections

Chairs: Alberta Giorgi, Luca Ozzano

Discussants: Alberta Giorgi

In difesa degli ultimi: quando la Chiesa influenza il dibattito pubblico
Rita Marchetti, Susanna Pagiotti, Anna Stanziano
AbstractSono trascorsi ormai più di venti anni dalla pubblicazione del volume "Public Religions in the Modern World" (1994) in cui Casanova analizza il fenomeno del ritorno delle religioni sulla scena pubblica. La questione dello spazio occupato dalla religione nelle società contemporanee continua a stimolare studiosi di tutto il mondo, dopo la revisione delle teorie della secolarizzazione di cui lo stesso Casanova è stato uno dei principali esponenti. Su questa scia, più di recente, in letteratura si è iniziato a parlare di una nuova visibilità della religione nello spazio pubblico, intesa soprattutto nei termini di una crescita quantitativa della copertura giornalistica della religione a partire dall’inizio del nuovo millennio, che favorisce la capacità delle religioni di partecipare attivamente anche al dibattito politico. Studiare come le istituzioni religiose partecipano al dibattito pubblico tramite i media significa fare luce sul ruolo svolto dalle stesse nei processi di agenda building e, quindi, sulla loro capacità di imporre proprie issues e frames al centro del dibattito pubblico, influenzando così anche il decisore pubblico. In Italia, stiamo assistendo a forti tensioni tra la Chiesa e l’attuale governo su tematiche centrali dell’agenda politica (immigrazione e questione sociale per citarne due tra le più importanti), mostrando una Chiesa più che mai attiva nel dibattito politico. L’ipotesi che guida il presente lavoro è che la Chiesa cattolica in Italia sia uno degli attori della società civile in grado di incidere nell’agenda pubblica non solo grazie a un ruolo consolidato nel corso del tempo, dovuto alle peculiarità della Chiesa in Italia, ma anche al rapporto instaurato con i media. Il paper analizza il coverage della Chiesa cattolica in Italia nell’arco di un anno (1 marzo 2017 – 28 febbraio 2018) attraverso l’analisi di 13.779 articoli pubblicati su 15 testate a diffusione nazionale (carta stampata, edizioni digitali, solo online). Una combinazione di analisi automatizzata e manuale del contenuto (tramite il tool QDA Miner/WordStat) ha permesso di rilevare che i temi sui quali la Chiesa si esprime e che riescono a trovare spazio sui quotidiani sono temi controversi al centro del dibattito pubblico (come l’immigrazione o l’eutanasia) che polarizzano le posizioni e sui quali la politica sembra aver abdicato al suo ruolo (come la povertà).

Post-Christian democracy: the case of Hungary
Tamás Nyirkos
AbstractAs everyone knows, the right-wing criticism of liberal democracy and liberal elites has for years now been associated with a defense of the Christian values and Christian identity of Europe (from the Lega to the Front National or Hungary’s Fidesz). In 2018, the Hungarian prime minister went as far as to identify “illiberal” and “Christian” democracy, which raises two questions: (1) what constitutes the “Christian” character of what was formerly called “illiberal”; and (2) how churches (both members and leadership) relate to this political interpretation of the word “Christian”. As for the first: since political discourse is not political philosophy, it cannot be expected to give exact definitions. It does, however, refer to two elements with remarkable consistency: support for the traditional family and the defense of the nation-state. Because family is by no means an exclusive Christian idea (moreover, not having a family has for long been regarded as a superior “state of life”) and the nation-state has more often been a challenge to Christian universalism than its ally (even the object of a rival “political religion”), the Hungarian discourse of Christian democracy seems properly post-Christian in using a vocabulary inherited from Christianity but giving it a thoroughly modified, largely secular content. As for the second: to some extent, this ambiguity explains the confusion of the churches as well, but in their case the issue is even less theoretical or merely rhetorical. Since our time is post-Christian also in a sociological sense (the majority of the audience addressed by the government is increasingly non-religious, and no propagation of Christian values seems to revert this), government support has become vital for the maintenance of religious communities and institutions. Recognizing this, government communication and practice (especially after Viktor Orbán’s meeting with Donald Trump in May 2019) began to lay even more emphasis on support for Christian churches at home and for “persecuted Christians” abroad. The churches therefore have very limited space to maneuver between theological reservations and practical accommodation, which is the most problematic aspect of being a Christian democrat in a post-Christian and perhaps post-democratic era.

Religion, Political Parties and Social Cleavages: Some Theoretical Reflections
Luca Ozzano
AbstractThis paper will present the results of a comparative research on religion, cleavages and political parties, taking into account five country cases (India, Israel, Italy, Turkey and the US) from 1980 from the present day. The research compares the party types (according to Ozzano’s [2013] typology) detectable in the different cases and their evolution, and tries to understand how this relates to the cleavages active in each case and their development. This paper will be grounded on the comparison of the five cases and will provide some final theoretical reflections on the relations between religion, cleavages, and party types, and the different kinds of uses of the religious factor by political parties. First of all, it will try to understand which factors can favour the rising of specific types of religiously oriented political parties (for example with a fundamentalist rather than conservative orientation), and the trajectories they follow (particularly in terms of radicalization, moderation and nationalization). The paper will also try to understand the reasons for the scarcity of some specific types of religiously oriented parties, particularly the progressive one. Finally, it will focus on the role of religion and cleavages in currently developing political phenomena, such as the right-wing populist parties in Europe and the rise of Donald Trump within the Republican Party in the US.

Hijab and abortion: political control over women’s bodies in Tunisia and Italy
Alessandra Bonci
AbstractThis paper aims at understanding the political stands behind the debated issues of covering and uncovering bodies as making abortion or accepting a pregnancy. In short, we shed a light to a more scientific understanding of the political use of women’s body. The social phenomenon which turns women’s choices into public debates and public concern is not a mainly contemporary one; it is rather an ancient phenomenon and typical to many societies across the ages. Why a veiled woman and a woman who practices abortion are perceived as problematic identities? It’s interesting how the whole Tunisian and Italian societies seem eager to have a word in deciding the social and moral code for their female population. We can observe that nowadays both Tunisia and Italy have a strongly patriarchal culture in common; they are both undergoing a phase of major transitions, (Tunisia after the revolution and Italy after the rise of a xenophobic and racist far-right government); and both in Tunisia and Italy there is a strong polarization between conservatism and liberal values. In addition, Tunisia and Italy are experiencing a post-democratic and a post-secular phase. Despite Italy is an established democracy while Tunisia is a recent one, Crouch (2004) would define the Italian democracy a post-democracy where elections are still there but few people are concentrating power and freedoms are in danger. Tunisia’s democracy is not exactly suffering of “post-democratic syndrome” but the frustration among the population is alive and well. The theme of post-secularism is also telling of the Tunisian and Italian environment, as in both countries we observe a strong resurgence of religion in the public sphere as a challenger to the democratic system. And in such environment, the debate over hijab and niqab in Tunisia and over abortion in Italy, become religion’s main strategy to orient people’s political choices. Crucially, in both Tunisia and Italy women bodies became the main playground where political claims are exerted.