Section 13. Università e territorio. Terza missione, trasferimento tecnologico e Scienza politica (University and Territory. Third Mission, Technology Transfer and Political Science)
Coordinators: Giovanni Allegretti (giovanni.allegretti@ces.uc.pt), Lorenzo Ciapetti (lorenzo.ciapetti@unibo.it)
Negli ultimi dieci anni anche in Italia è notevolmente cresciuta l’attenzione per l’Università come soggetto-imprenditore, in parte per un effetto emulazione dell’esperienza anglosassone, in parte per esigenze di reperimento di risorse economiche e commercializzazione diretta dei risultati della ricerca applicata (brevetti, licenze, spin-off, ecc.). La letteratura sui sistemi regionali dell’innovazione, supportata anche da specifici finanziamenti europei (programma Paxis), ha definito “regioni di eccellenza” quelle regioni in grado di attivare processi virtuosi di sviluppo mettendo in sinergia Università, Regioni e Imprese (“triplice elica”) per generare ricerca applicata, innovazione e competitività regionale. Più in generale, questa apertura verso l’esterno delle Università è nota come “terza missione”: oltre alla didattica e alla ricerca, le Università contribuiscono all’innovazione del sistema produttivo del territorio in cui sono insediate attraverso il trasferimento tecnologico e di conoscenze. In questa prospettiva si è andata affermando l’idea del potenziale ruolo “trasformativo” che detengono le Università nel contesto regionale (UE, 2011) nel traghettare lo sviluppo regionale e del paese verso un’economia della conoscenza.
In Italia, recenti dati NETVAL mostrano come la sinergia “esterna” delle università sia andata aumentando nel tempo, portando negli ultimi dieci anni ad una quota di risorse conto terzi sul budget degli uffici di trasferimento dal 18% al 41%. Colpisce anche che i fondi per la ricerca delle Università italiane, provenienti da regione ed enti locali, sia cresciuta dal 4% del 2004 al 20% del 2014. Un esame sulla concentrazione di questi “rapporti esterni” rivela tuttavia che vengono premiati soprattutto i Politecnici, in primis quello di Milano e Torino e, in generale, le Università insediate in dinamici contesi produttivi, a forte densità urbana e con elevata specializzazione tecnologica.
La “terza missione” delle università, genericamente definita come “trasferimento tecnologico”, nell’accezione prevalente del termine, di matrice fordista, tende a favorire infatti gli ambiti disciplinari di ricerca applicata vocati a questo scopo (ingegneria e politecnici) e a penalizzare le scienze umane e sociali.
Nel nuovo contesto dell’economia della conoscenza, tuttavia, la dimensione della tecnologia è chiamata ad assumere una valenza più ampia, poiché costituisce l’asset primario su cui si basa il potenziale competitivo di un sistema complesso. Sebbene tenda a prevalere, ancora, un uso tradizionale del termine che sottintende l'incorporazione di conoscenze in apparati meccanici o sistemi informatici, il significato di tecnologia è, a tutti gli effetti, assai più esteso: Tékhne-loghìa significa letteralmente discorso sulle arti, sul saper fare e, più in generale, capacità di organizzare, codificare, applicare e trasferire conoscenze, metodi, competenze, processi utili al raggiungimento di uno scopo. La tecnologia definisce quindi la tecnica di formalizzazione e codifica di una conoscenza applicata che consente di aumentare l’efficacia di un sistema.
I dati mostrano inoltre come, nell’accezione prevalente del termine, il “trasferimento tecnologico” venga generalmente inteso dalle stesse Università, e quindi dai meccanismi di valutazione (VQR), come trasferimento di tecnologia in senso strettamente tecnico (es. brevetti), sottostimando una definizione di tecnologia come “conoscenza codificata” in senso più ampio e penalizzando, di conseguenza altri ambiti disciplinari, come le scienze sociali e politiche. Poco indagati e poco riconosciuti come “terza missione” sono, a questo riguardo, gli impatti delle ricerche applicate di scienza politica sulle dinamiche di sviluppo regionale: dalla costituzione di spin off, all’impatto di queste ricerche sulle politiche pubbliche e sullo sviluppo regionale.
In questa prospettiva, , su proposta dello Standing Group della SISP “Studi regionali e politiche locali”, si invita a presentare panel che abbiano i seguenti focus:
- Le Università come attore strategico dello sviluppo regionale.
- Esperienze di “terza missione” universitaria che descrivano l’operato di Università italiane e/o europee in questo ambito, mettendone in luce gli obiettivi (latenti ed espliciti), le criticità e le ricadute ottenute rispetto al contesto regionale e urbano di attuazione.
- Il contributo della scienza politica al trasferimento tecnologico e alla “terza missione” delle università italiane, europee ed extra-UE.
Panel 13.1 L’impatto della “Terza missione” delle Università sullo sviluppo regionale e le città
Sebbene il ruolo di “sviluppo regionale” delle Università sia risultato di difficile misurazione, la letteratura recente su questo tema ha messo in evidenza alcuni elementi da cui possiamo partire: a) la presenza di Università non conduce automaticamente ad una maggiore attività di innovazione sul territorio interessato; b) per dispiegare effetti di sviluppo, le Università hanno bisogno di contesti regionali in cui l’innovazione sia già presente; c) le Università stesse non devono sottrarsi al ruolo di leadership nella facilitazione di integrazione e diffusione di conoscenza.
Le ricerche sul tema convergono inoltre nel ritenere che ogni Università dovrebbe essere analizzata nel proprio contesto istituzionale e culturale. Questo permetterebbe anche di inserire la prospettiva degli atenei di media grandezza (mid-range Universities) in regioni deboli dal punto di vista della dinamica innovativa, al fine di includere in un dibattito di valorizzazione anche quelle realtà accademiche che non possiedono attività di ricerca di rango mondiale e sono localizzate in regioni con una bassa domanda di innovazione.
Una ulteriore dimensione di analisi va oltre le ricadute industriali e tecnologiche della terza missione, e individua un più ampio ruolo di “innovatore sociale”, in uno spettro di attività che spaziano dalla gestione di beni culturali, ai servizi sanitari, alla divulgazione scientifica, fino alla comunicazione pubblica e l’organizzazione di eventi pubblici.
Per inquadrare questo nuovo ruolo strategico dell’Università sono utili due considerazioni: a) La prima collega il ruolo dell’Università ad una contestualizzazione geografica; da una simile prospettiva, l’esistenza di diversità su base regionale rafforza le tesi della necessità di approcci differenziati (one size does not fit all) nello sviluppare la terza missione. b) La seconda è la necessità non solo di “misurare” quantitativamente la terza missione, sia essa di carattere tecnologico o sociale, bensì anche di “raccontarla”, compararla su scala nazionale ed europea al fine anche di evidenziarne criticità e opportunità e permettere di generare buone prassi da cui apprendere, e modelli organizzativi da adattare a diversi contesti.
Una sistematizzazione della conoscenza in chiave di politiche regionali delle esperienze di terza missione permette di andare oltre una lettura solo tecnologica delle ricadute della presenza di Università, evidenziando così eventuali ritardi e criticità di questo ruolo nel contesto italiano.
In questa prospettiva si invita a presentare paper che abbiano come focus:
- Casi di terza missione di una o più Università che introducano metodologie di classificazione e analisi in chiave di politica regionale comparata e sviluppo locale.
- Analisi (fondate su survey) sulla percezione del ruolo dell’Università in determinati contesti regionali e/o urbani.
- Analisi su ricadute e impatti indiretti della presenza dell’Università in determinati contesti regionali e/o urbani (ad esempio aumento consumi locali, numero di esercizi commerciali, numero di iniziative culturali, ma anche miglioramento della qualità della vita, RCI e BES, ecc.)
Chairs: Patrizia Messina
Discussants: Paolo Graziano
Università Europea, capitalismo accademico e tripla elica.
Sara Petroccia (sarapetroccia@gmail.com), Andrea Pitasi (pitasigda@gmail.com), Emilia Ferone (emiliaferone@gmail.com)
AbstractGià a partire dalla Bologna Declaration del 19 giugno 1999 un sistema educativo europeo comune ed unificato è diventato una priorità dell’agenda UE. La compatibilità e la comparabilità dei sistemi di alta formazione è riconosciuta come una condizione fondamentale per rendere competitivo il sistema educativo Europeo. Per realizzare un sistema universitario europeo è necessario individuare quali debbano essere le caratteristiche principali di questo sistema e quali le ripercussioni quindi sul capitale umano ed intellettuale dell’università ovvero professori, ricercatori e personale tecnico amministrativo. Nella Yerevan Communiqué del 14-15 maggio 2015 si esplicita la necessità per un’università Europea di incentivare lo spirito imprenditoriale e la stretta connessione che deve stabilirsi tra le tre missioni dell’università. È ormai noto quali siano le tre missioni dell’università: la ricerca, la didattica e la terza missione. Quanto alle prime due, sebbene si siano evolute nel corso del tempo diventando sempre più impegnative e valutate attraverso sistemi sempre più stringenti, sono storicamente le missioni che definivano l’università stessa. Sicuramente più nuova almeno in termini di formalizzazione è invece la terza missione ovvero il contributo che l’università dà alla crescita sociale e culturale della società in generale e della comunità più in particolare. Essa si esplica attraverso il rapporto che le università instaurano con le organizzazioni della società civile, con i mass media, con i gruppi di cittadini ecc. in una logica da tripla elica come teorizzata da Loet Leydesdorff.
Una caratteristica fondamentale è l’imprenditorialità: un’università Europea deve essere imprenditoriale e per essere tale deve trasformare la propria organizzazione e la propria struttura per renderla flessibile e costantemente in ascolto della società civile. È un’università che, per opera della terza missione e della tripla elica, cambia al cambiare della società che a sua volta cambia al cambiare dell’università. Le trasformazioni riguardano soprattutto il capitale umano che si trasforma in capitale intellettuale che in questo caso è capitale accademico. L’università europea della conoscenza opera quindi in un regime di capitalismo accademico ovvero, usando le parole di Slaughter, Leslie and Rhoades, acquisisce comportamenti market-like dotandosi di strutture interne che fungano da connettori con il mondo esterno in una sorta di “commercializzazione” dei propri prodotti.
Dalla pratica alla teoria e ritorno: il caso dello spin off universitario SHERPA srl
Patrizia Messina (patrizia.messina@unipd.it), Lorenzo Liguoro (lorenzo.liguoro@unipd.it)
AbstractLe politiche di sviluppo locale, legate all’analisi dei contesti territoriali e delle reti di governance multilivello e multi-stakeholer, hanno messo in luce una difficoltà evidente nell’adottare soluzioni standard, facilmente trasferibili da un contesto all’altro. Ciò tuttavia non impedisce di elaborare in questo ambito un “sapere esperto” che si configura come un metodo aperto in grado di accompagnare gli attori locali in un percorso collaborativo di design e implementazione di strategie di sviluppo.
In questa accezione del termine il “trasferimento tecnologico” si configura come “condivisione di sapere codificato” nell’ambito di processi di policy design partecipativi.
La forma imprenditoriale dello spin off universitario consente di valorizzare la conoscenza acquisita dalla ricerca sul campo, per renderla fruibile al territorio. Essa rappresenta una evoluzione del modello di business che caratterizza il funzionamento eco-sistemico di una comunità territoriale, ricostruendo su logiche aperte di mercato i canali di produzione e scambio di valore, introducendo una logica di servizio e di responsabilità sociale nelle scelte e nelle pratiche di produzione e diffusione del sapere scientifico.
Il paper focalizza l’attenzione sull’esperienza maturata sul campo a questo riguardo, presentando il caso dello spin off dell’Università di Padova SHERPA srl, costituito nel marzo 2017, con l’obiettivo di rafforzare le relazioni cooperative tra università e territorio.
I parchi scientifici e tecnologici (PST) come strumenti d’innovazione territoriale
Davide Gianluca Bianchi (davidegianluca.bianchi@gmail.com), Giorgio Petroni (giorgio.petroni@lambrate.inaf.it)
AbstractPer affrontare i problemi dello sviluppo locale si è fatto ricorso, in misura crescente, negli ultimi trent’anni, all’istituzione di parchi scientifici e tecnologici (PST). Ciò è avvenuto in ogni area del mondo, secondo le stime dell’associazione internazionale che riunisce buona parte di queste strutture (IASP). E’ tesi di questa ricerca che l’Italia abbia accusato un certo ritardo nell’adozione di questo paradigma, particolarmente trascurato dalle regioni, alle quali, con la riforma del 2001 del titolo V della Costituzione, sono state affidate – fra le “materi concorrenti” – specifiche competenze in ordine alla “ricerca scientifica e tecnologica”. Come il saggio cercherà di mostrare, una adeguata sensibilità politica a questo riguardo si è manifestata solo in piccola parte, tuttavia ottenendo talvolta dei risultati non trascurabili. L’insufficiente azione delle regioni in questo settore è stata finora principalmente determinata sia da alcuni errori di prospettiva negli indirizzi di politica industriale a favore dei cosiddetti “distretti” disseminati in vari territori del Paese, sia dalla mancanza di adeguate competenze professionali da parte del management.
La letteratura scientifica più recente, lavorando su molte evidenze empiriche, consente di cogliere gli elementi critici che, positivamente o negativamente, possono condizionare la riuscita di interventi di questo genere. Il presente lavoro si propone pertanto di accrescere il livello di consapevolezza sulle opportunità offerte dai PST: di questi ultimi verranno in particolare segnalati eventuali motivi d’inefficacia e limiti, ma anche i possibili fattori di successo. Inoltre verranno indicate le “specifiche tecnico-organizzative” commentando alcune esperienze di successo conseguite da 6 case studies – Parco scientifico e tecnologico della Valle Scrivia (Tortona), Bioindustry Park (Ivrea), Kilometro rosso (Bergamo), Parco tecnologico padano (Lodi), Area scince Park (Trieste), Parco scientifico di Udine ‘Luigi Danieli’ – dislocati in tre regioni del Nord Italia – Piemonte, Lombardia e Friuli - Venezia Giulia – di cui sono state analizzate le relative policy in chiave comparativa.
Per la realizzazione del paper si è fatto ricorso a un metodo misto: studio della letteratura specialistica, analisi dei documenti regionali di policy, interviste semi-strutturate al management dei PST.
La “Terza missione” delle Università: un policy concept alla ricerca di politiche territoriali
Lorenzo Ciapetti (lorenzo.ciapetti@unibo.it)
AbstractL’irruzione della Terza Missione (quella che si affianca alle missioni dell’insegnamento e della ricerca) nel processo di governance e di valutazione del sistema universitario in Italia consegna importanti indicazioni sulla capacità istituzionale degli atenei, ma lascia scoperto lo “spazio di sistema” che caratterizza la TM e che è uno spazio multiattoriale e multilivello. La TM è oggi concepita come un mix di strumenti regolativi e soft instruments che fanno parte del mix dedicato alla governance del sistema universitario, al fine di migliorare la valorizzazione della ricerca degli atenei e valutarne l’impegno a livello sociale. Ma cosa ne è della visione di “ecosistema” per cui la TM è un processo che coinvolge diversi attori, in diversi ruoli con la finalità di migliorare il contesto imprenditoriale e innovativo (sia sociale che economico) di un sistema regionale? Questo articolo guarda alla TM nella duplice prospettiva della Scienza Politica e quindi della TM come strumento di policy e oggetto di policy design e degli studi di innovazione regionale e quindi di analisi di sistemi complessi dell’innovazione e propone, oltre a possibili percorsi di ulteriore ricerca, un framework valutativo “relazionale” della TM, alla luce di una analisi empirica cross-sectional sui dati ANVUR 2011-2014.
Panel 13.2 Trasferimento di tecnologia e Spin off innovativi. Il contributo della Scienza politica
La tecnologia è un complesso di conoscenze che deve poter essere separabile dalla totalità di saperi propri del soggetto o dei soggetti che l’hanno generata. In sintesi, possiamo definire la tecnologia come quel processo che consente di trasformare un sapere tacito in sapere codificato. In questo ambito il processo di codifica deve compiersi attraverso una esternalizzazione e una socializzazione delle conoscenze che compongono la tecnologia stessa in modo da garantirne l’utilizzo, a condizioni date, da parte di terzi e la falsificabilità oggettiva dei suoi assunti. Ciò significa che la trasferibilità della tecnologia è una qualità che concorre a definirla.
Nelle scienze politiche e sociali la conoscenza applicata risulta essere di difficile codificazione, vista l’alta complessità dei processi e l’alta variabilità dei contesti e delle situazioni che rendono difficilmente standardizzabile e trasferibile una conoscenza.
Il tema della definizione delle “buone pratiche” e del loro “trasferimento” è fortemente incentivato dall’Unione Europea. Per esempio, l’approccio europeo alla governance intergovernativa, noto come Metodo Aperto di Coordinamento, si basa sulla possibilità di trasferire dispositivi tecnologici dalla politica di un Paese Membro a quella di uno o più altri Paesi. L’impianto valutativo è strutturato sulla pratica del benchmarking che lega l’analisi delle performance e dei risultati a set di indicatori predeterminati e standard. Tale approccio ha il vantaggio di favorire la generazione e lo scambio di apprendimenti ma ha, al contempo, lo svantaggio di non leggere effetti inattesi, questioni emergenti e di subordinare la visione strategica ad una parcellizzata tattica di massimizzazione delle prestazioni.
Sotto il profilo tecnico, le Tecnologie dell’Informazione e Comunicazione rappresentano oggi supporti ideali ai processi di decision-making e policy implementation. Il paradigma “smart” impone l’applicazione di modelli di programmazione data-driven, ovvero guidati dall’informazione. Nei sistemi cognitivi la social innovation e il miglioramento continuo si realizzano attraverso il costante apprendimento, frutto di sperimentazioni e innovazioni e della capacità di discernimento, resa possibile da un impianto valutativo trasversale, esplicito e, possibilmente, condiviso.
In questa prospettiva si invita a presentare paper che abbiano come focus:
- Casi di trasferimento tecnologico, anche a partire da ricerche applicate della scienza politica, in risposta alle sfide che impongono, per quanto si è detto, la ridefinizione dei modelli di policy in senso tecnologico (es. digitalizzazione, elaborazione di Big Data, valutazione puntuale degli impatti attraverso una prospettiva user-centric);
- Casi di spin off universitari promossi da ricerche politologiche applicate, mettendo in luce la dimensione del trasferimento di tecnologia.
Chairs: Giovanni Allegretti, Paolo Graziano