Coordinators: Donatella Della Porta (donatella.dellaporta@sns.it), Gianni Piazza (giannipiazza@tiscali.it)
Chairs: Luca Raffini, Barbara Saracino
Discussants: Gianni Piazza
La ri-soggettivazione dell’intellettuale precario nell'università "collettiva"
Vincenza Pellegrino (vincenza.pellegrino@unipr.it)
Abstract Questo contributo prende avvio da un percorso di "autonalisi" svoltosi tra il 2014 e il 2016 con l’obbiettivo di cogliere la complessa interazione tra strutture del lavoro e soggettività dei lavoratori a partire dal punto di vista di 20 precari universitari. A ciascuno è stato chiesto di strutturare il proprio discorso in tre passaggi: la ricostruzione della dimensione spazio-tempo nel lavoro cognitivo precario; la lettura dei dispositivi di potere identificabili nella quotidianità; la lettura dei dispositivi di resistenza in atto, come essi li definiscono.
Emergono forme particolari di "assoggettamento": i\le precari\e dell’università sono sottoposti a dispositivi di cattura da promessa che oscillano tra nuove modalità affettive e informali (la dimensione del viaggio e della condivisione dei contatti ad es.), a cenni di repressione (la svalutazione nel tempo di chi ha compiuto percorsi di ricerca interdisciplinare e critica, ad es.). L'analisi dei discorsi mostra nuove modalità con cui la «classe dirigente» gestisce questo passaggio, ad es. per sottrazione («formati e studia come meglio credi perché io non posso garantirti il dopo»), implementando l’esposizione al self employment dei nuovi arrivati e la fragilizzazione delle loro istanze "singole".
Ma emergono anche forme di "resistenza". Le analisi mettono in scena forme collettive «più operative e più relazionali»: l'apertura a gruppi sociali esterni come committenza nella produzione di sapere (più fortemente interessati alla «terza mission» dell’università ad esempio). In tale chiave vengono analizzate pratiche narrate come forme emergenti di "università collettiva", ispirate a modelli latino americani e asiatici ("università situate" in Brasile, "democratiche" in India, e così via), come nel caso delle "Lezioni Aperte" dell'Università di Parma: un corso di sociologia della globalizzazione svolto da anni con i richiedenti asilo come "co-docenti" formali e aperto ai cittadini. La analisi teorica delle migrazioni forzate include qui quanto i migranti propongono come "rimosso occidentale" (i sistemi di "passaggio alle frontiere" come resistenza postcoloniale ad es).
Queste esperienze mostrano una possibile riforma nella direzione di università "collettiva" - pervasa cioè dal desiderio di inclusività del mondo circostante, di recupero della funzione critica grazie a dispositivi di docenza e ricerca "partecipativa" - che sposta i processi di conoscenza "tra" l'accademia e i mondi vitali privi di ascolto
Il curriculum accademico e il mestiere del ricercatore.
Davide Filippi (S4055987@studenti.unige.it)
Abstract Nel presente contributo saranno presentati alcuni dati empirici raccolti attraverso una ricerca in corso orientata a investigare le relazioni che intercorrono tra il percorso professionale dei ricercatori precari italiani e le forme e i significati che questi assegnano al proprio Curriculum Vitae. Nell’ambito del cosiddetto “capitalismo cognitivo”, le istituzioni accademiche e di ricerca hanno assunto un ruolo centrale all'interno delle forme di produzione contemporanee, aderendo con sempre maggiore intensità ai modelli organizzativi business oriented, improntati ai principi del new public managment. In anni recenti numerosi studi hanno evidenziato come questi fenomeni siano riscontrabili, con gradi differenti, in tutti i paesi a capitalismo avanzato. Tuttavia, poca attenzione è stata finora rivolta agli esiti che queste trasformazioni hanno prodotto nella pratica del lavoro di ricerca. Una delle conseguenze maggiormente visibili nell'osservare i processi di soggettivazione dei ricercatori universitari è il manifestarsi di quello che è stato definito da molti come un Self Neoliberale, ovvero il ricorso alla competizione, alla meritocrazia e alla retorica dell'eccellenza quali dispositivi privilegiati che pervadono la definizione delle esperienze biografiche e professionali dei soggetti coinvolti nell’ambito della ricerca scientifica. Inoltre, è quella che è stata definita come “economia politica della promessa” a determinare una modificazione radicale delle forme che assumono le soggettività dei ricercatori. Attraverso un'analisi congiunta di interviste semi-strutturate e dei Curriculum Vitae dei soggetti intervistati, in questo contributo ci si concentrerà in primo luogo sulla distanza che intercorre tra la rappresentazione del percorso professionale che i soggetti disegnano nel proprio curriculum e la percezione complessiva che questi hanno del proprio lavoro. In secondo luogo, metteremo in luce i significati che i precari della ricerca assegnano alle pubblicazioni accademiche, le quali rappresentano uno degli elementi più rilevanti, e allo stesso tempo contraddittori, nello sviluppo di un'esperienza professionale nell'ambito delle ricerca universitaria. Infine, ci si concentrerà sui significati epistemologici che i ricercatori attribuiscono al sapere e alla conoscenza in relazione alle modificazioni che la pratica del "fare ricerca" sta incorporando all'interno degli standard efficientisti entro cui è organizzato il mercato accademico contemporaneo.
L’inadeguatezza del digital academic
Francesca Coin (fracoin@unive.it)
Abstract La ricerca accademica è stata forse uno dei primi settori a essere esposti alla rivoluzione digitale. La riforma che ha scandito il passaggio della governance accademica dall’università Humboldtiana all’università neoliberale in chiave manageriale ed aziendalistica si è servita sin da principio di una serie di dispositivi tesi a monitorare e valutare la performance in modo continuativo, tracciando ogni interazione che prende luogo nell’ambiente accademico e nel mondo esterno. Traendo spunto dal lavoro di Deborah Lupton, Inger Mewburn e Pat Thomson, The Digital Academic: Critical Perspectives on Digital Technologies in Higher Education (2017), questo paper guarda al digital self dell’accademico contemporaneo. Complici piattaforme digitali come Academia.edu, Linkedin, Googlescholar, University e-repositories, SlideShare, Content aggregator tools, l’accademico digi-tale può aumentare fortemente le tue interazioni quotidiane e l’impatto della sua ricerca. Ma più ancora che strumenti di interazione, questi software trasformano l’accademico in un individuo digi-tale la cui performance è costantemente monitorata sino a scoprirlo prigioniero del suo controllo. in questo contesto la domanda è non solo quale sia l’impatto delle tecnologie digitali sulla qualità della ricerca contemporanea, ma quanto l’induzione continua alla quantificazione e al monitoraggio della performance si riveli per l’accademico contemporaneo un problema, un teatro in cui mostrarsi o un panopticon dal quale nascondersi, stretto sempre più spesso tra l’induzione a eccellere e la paura di non essere abbastanza, in un processo che trasforma le tensioni e i conflitti che si palesano nell’università neo-liberale in conflitti interiori e le pratiche di resistenza in processi tutti da reinventare.
Chairs: Fabio De Nardis
Discussants: Gianni Piazza
The Post-political Use of the Concept of the Commons: The Regulation of the Urban Commons in Bologna
iolanda bianchi (iolebianchi@gmail.com)
Abstract The paper will focus on a form of de-politicization that takes place at the urban scale through the post-politicization (Swyngedouw, 2009, 2010, 2014) of the concept of the Commons. In the last decades, the concept of the Commons has become highly politicised defining a new space in the struggle for hegemony between society and capital (Hardt and Negri, 2009; Caffentzis and Federici, 2013; De Angelis, 2003 Harvey, 2012; Mattei, 2011; Laval and Dardot, 2014). Through an archaeological excavation of many anti-capitalist scholars, the concept has been transformed into a post-Marxist political discourse whereby the singular and the plural, the “Common” and the Commons, represent respectively the theory and the practice of the hegemonic struggle. Nevertheless, despite its politicization, the concept has been also subject to cognitive captures by capitalist dispositifs that use its ambiguity to undermine the political meaning. The paper illustrates such a capture in a specific urban setting, the city of Bologna where, the “Regulation for the care and regeneration of the urban commons” uses the concept to propose a new form of collaborative governance (Arena and Iaione, 2012). The paper uses an interpretative approach based on the analysis of the discourse (Fairclough, 1995) that combines an inductive with a deductive method to illustrate the shift of the concept from a political into a post-political meaning and to understand its effects on the city’s political dimension. The paper concludes sustaining that, since the hegemonic struggle is also a struggle for the discourse, it is also needed to struggle to keep political the concept of the Commons.
il ventunesimo sarà il secolo dei populismi?
Andrea Scolari (andrea.scolari86@gmail.com)
Abstract Da “l’età dei totalitarismi” alla “neo-liberist era”, si può parlare di de-politicizzazione o è una ridefinizione della politica stessa?
La trattazione che presento si fonda sull’ipotesi che il fiorire dei populismi dagli anni 70 a oggi può essere considerato come il tentativo di sopperire al crollo ideologico innescato dalle “rivoluzioni sociali silenziose” riferibili alla post-modernità (Inglehart, Giddens, Beck, Crouch et al.) e all’incapacità, o non volontà, del neo-liberismo di apparire in modo tale.
L’idea fondante è guardare ai paradossi della rappresentanza politica contemporanea attraverso una nuova concezione socio-politologica del populismo. Quest’ultimo verrà inteso come uno stile politico, utilizzato nella fase prodromica di un’ideologia, che verrà osservata come diretta alla sostituzione dei cleavages sociali attorno ai quali si articola il dibattito politico.
La strategia populista è utilizzata al fine di ottenere il maggiore consenso politico possibile attraverso fonti d’identità riferite a un passato ordinato, in opposizione alla destrutturazione delle strutture sociali propria del mutamento sociale. Quest’ultimo sarà osservato come sostenuto e orientato da un centro elitario, culturale, politico ed economico, in linea con i processi di razionalizzazione e orizzontalizzazione dei rapporti tra individui.
Attraverso questa chiave di lettura i movimenti populisti contemporanei risultano essere una reazione consequenziale alla separazione tra identità individuale e identità politica. L’appello populista sorge in quanto il disorientamento prodotto dalla separazione anzidetta, implica la possibilità di mobilitare una parte di popolo contro la direzione del mutamento sociale, « le strutture di potere , le idee e i valori, dominanti della società» (Canovan 1981).
I populismi contemporanei deriverebbero quindi dal regresso della proprietà educativa della democrazia e dalla difficoltà a creare un identità politica “nuova” e disincantata, a sostegno delle posizioni raggiunte dal “centro elitario”, nel migliori dei casi, tramite il “goverment by discussion” e orientata a sostegno della maggior libertà e consapevolezza per “la ricerca della felicità”.
La libertà di costruire la propria identità politica genera disorientamento che può essere visto come opportunità di creazione del sé oppure come degenerazione sociale da cui è meglio rifuggire; questo duplice orientamento è ritenuto il fattore ultimo della dicotomia politica e sociale futura.
Spoliticizzazione e partiti Outsider:
Podemos, Syriza e Movimento 5 Stelle tra tendenze egemoniche e contro egemoniche.
francesco campolongo (campofra1985@gmail.com)
Abstract La crisi organica Europea (economica, politica, sociale) che dal 2008 arriva ai nostri giorni si caratterizza per una triplice spoliticizzazione (governativa, discorsiva e sociale) (D'Albergo, De Nardis, 2016). In questo contesto emergono una serie di partiti outsider, connessi in forme diverse ai movimenti anti-austerità nati nei rispettivi contesti nazionali.
Questi partiti provano a rispondere ad una serie di conseguenze della “spoliticizzazione” (crisi di fiducia verso la democrazia rappresentativa e le sue performance, la crisi dei corpi intermedi, crisi economica) con dispositivi discorsivi, modelli organizzativi e proposte di riforma dei meccanismi della democrazia rappresentativa efficaci sul piano del consenso elettorale. Molto spesso questi soggetti adottano una strategie discorsiva populista assieme a modelli organizzativi e proposte di policy in continuità con il “master frame” dei movimenti anti-austerità, proponendo una riforma in senso partecipativo dei partiti e dei meccanismi della democrazia rappresentativa.
Il lavoro si propone in prima battuta di approfondire il concetto di “depoliticizzazione” e le “manifestazioni fenomeniche” ad esso riconducibili nel contesto Europeo attraverso lo studio della letteratura e, successivamente, di analizzarne in chiave comparata gli effetti sulle strategie di alcuni partiti outsider. A tal proposito si procederà ad uno studio comparato della dimensione simbolica, organizzativa e programmatica di Syriza, Podemos e il “Movimento 5 Stelle” nel tentativo di dedurre la natura “egemonica” o “contro egemonica” delle strategie adottate rispetto agli effetti della spoliticizzazione.
L'obiettivo del lavoro è contribuire ad approfondire la nozione teorica di “depoliticizzazione” e approfondirne le conseguenze strategiche in termini simbolici, programmatici e organizzativi sui partiti.
Local government and protest: between consensus, agonism and spontaneity. The case of Bulgaria
Ivaylo Dinev (ivaylo_dinev@abv.bg)
Abstract In the spring of 2016 the Municipality of Sofia decided to increase to 60% the public transport ticket price, which led to numerous protest activities and everyday resistance by citizens. In April 2017 court of the first instance decided the new tickets price as illegal. Do an everyday issue as this can be more complex than it appears at first glance? The case study is based on the expectation that such an everyday issue can help us to trace and analyze the current de-politicization of the governance, especially in local, urban space level as well as the possibility of re-politicization from bellow. In this regard, the aims of the paper are: 1) presenting the dominant practices and discourses of expert, rational and technocratic governance in the urban space embodied in a particular issue in the routine daily life (urban public transport); subsequently, 2) tracing and analyzing types of resistance and protest activity; and 3) explaining why certain actions are able to achieve a concrete outcome. My results present that 1) in post-political city (Swyngedouw 2011) within the everyday life, we can trace mobilization that challenges the dominant discourses and practices. Consequently, 2) the public transport ticket price issue is a possibility to find different forms, tactics and strategies (individual and collective) from bellow led by the citizens including at least three types, namely consensual protest (de-politicized action based on consumer calculations), agonistic protest (based on the "right to the city" dimension; Lefebvre 1972; Mouffe 2005; Swyngedouw 2011; Mayer 2012) and spontaneous action (based on the non-organized "subaltern classes" spontaneity; Gramsci 1972). The current work is built upon qualitative interpretative approach that includes content analyses of representatives’ debates, speeches and interviews as well as analysis of the practices and techniques for control (introducing the idea of Smart City, video recording, increasing transport inspectors) over the passengers implemented by the Municipality and the Urban Mobility Center. For the mobilization, I analyze manifestos, declarations, posters, Social media activity and interviews of two non-governmental organizations and one informal anarchist groups as well as numerous citizens' video materials.
Alter-globalization in Southern Europe: Anatomy of a Social Movement
Eduardo Albrecht (albrechteduardo@gmail.com)
Abstract This paper examines the relationship between the alter-globalization movement and political power in Italy, Spain, and Greece. It argues that not only is the movement anti-political, but that it operates within an apolitical social milieu, as a ritualized holding pattern for middle class youths that find themselves uncomfortably placed between a receding state structure on the one hand, and a rising informal economy on the other. Joining this movement presents itself as a solution. Its ritual liminality allows adherents to act revolutionary while assuring that their middle class privileges remain intact. Scholars often examine how movements impact politics, or how politics utilizes movements. Yet, this movement is found to exist outside the scope of power. What in fact on the surface seems like a legitimate movement, once the embodied practices of its members are analyzed and the movement’s “anatomy” laid bare, becomes something very different. Its political insularity and ritual limbo fulfills a different function instead. The paper considers this function and the social ramifications of the movement at a time when Europe finds itself at a political and economic crossroads, offering specific case studies from the three southern European countries.
Chairs: Domenico Carbone, Fatima Farina
Discussants: Domenico Carbone, Fatima Farina
Gender Gap in Political Participation: the Role of Employment Status and Family Responsibilities
Matteo Bassoli (matteo.bassoli@uniecampus.it), Jasmine Lorenzini (jasmine.lorenzini@eui.eu)
Abstract Among the multiple socio-demographic variables that have an influence on political participation scholars have included sex, some using a more refined approach name it gender – working on the social construction and differentiation of women and men roles. In this paper we address the issue of gendered political participation in relation to variations in employment situations and family responsibilities. Using a multi- dimensional analysis, on the one hand we explain the effects of gender on political participation trough occupational and familial choices and activities, on the other we measure the remaining effects that could be attributed to sex. The impact of gender varies across the different modes of political participation that demand different resources.
We compare the situations of young men and women in two different contexts, Turin and Geneva, in order to assess the mentioned differences in the social constructions of gender roles in two different labor markets and cultural environments. The two cities are emblematic of the respective countries. Italy still has a labor market that strongly divides insiders, mid-siders, and outsiders, while Switzerland has a more flexible labor market that includes women, although the majority of female employment is part-time. The two social environments are also characterized by different social constructions of gender as regards the familial involvement as well as the concept of adulthood.
Using quantitative data gathered within the European project YOUNEX, on youth unemployment, and exclusion, we conducted regression analysis that enabled us to measure the specific impact of each on various modes of political participation. The article helps to clarify the gender effect on political participation, considering both the different modes of political participation and the relative importance of the specific intermediary variables taken into account. Hence we show that the gender effect is mainly activated trough occupational situation in Italy, while family responsibilities play a major role only in Switzerland.
Che genere di politica. Le tematiche gender nelle consultazioni elettorali amministrative a Torino
Marinella Belluati (marinella.belluati@unito.it)
Abstract Il rapporto tra politica e genere è da sempre stato un percorso complicato. Gli indicatori italiani sono pessimi, ma anche nel resto dei paesi europei la situazione non è confortante, nonostante le gender policies dell’Unione Europea siano le più avanzate all’interno del mondo occidentale. Complici una serie di fattori legati all’organizzazione politica dell’attivismo di genere e al mutato contesto socio culturale, e nonostante il tema sia stato più volte cruciale per la storia repubblicana, il tanto auspicato gender balance è ancora lontano. Tra le letture più convincenti della crisi del movimentismo di genere e sulla sua capacità di incidere nella sfera pubblica, quella di Nancy Fraser resta la più potente. La giustizia di genere, per essere efficace, deve mantenere una tridimensionalità analitica e saper tener unite, la dimensione della rappresentanza politica, quella economica della redistribuzione delle risorse e quella culturale del riconoscimento.
Stringendo sulla situazione italiana, il quadro appare confuso; la pressione portata avanti dai movimenti gender oriented dopo aver attraversato una stagione remunerativa sul piano del riconoscimento pubblico e politico, è ora entrata in una fase incerta, capace di grandi momenti di mobilitazione, ma meno in grado di dare continuità al tema nell’agenda pubblica. Nonostante questo, una serie di opportunità offerte da alcuni cambiamenti interni alla cultura e all'identità di genere, e grazie ai nuovi ambienti della comunicazione, spazi di rinnovamento si intravedono dentro la società civile, mentre lo sono di meno all’interno del discorso pubblico e politico.
Affermazione politica e strutturale e rappresentazione pubblica sono lo sfondo da cui parte questo contributo. Dopo aver tracciato una mappa della situazione italiana, si è cercato di calarla su un campo empirico. Sapendo che le “battaglie” di affermazione identitaria si realizzano on field, verranno proposti i risultati di un’osservazione etnografica compiuta a Torino in occasione delle scorse elezioni comunali attraverso una prospettiva di genere, cercando di rispondere alla domanda: quanto e come il fattore genere sia stato una presenza sostanziale e saliente all’interno del campo politico.
In questo caso specifico, seppure la gender politics sia stata marginale all’interno della campagna elettorale, ha comunque messo in luce un potenziale non espresso ed un quadro problematico, ma in movimento.
La parità introvabile. Dalle politiche di genere al genere nelle politiche: alcuni casi studio in Italia e nel Veneto.
lorenza perini (lorenza.perini@unipd.it)
Abstract La ricerca mira ad analizzare il difficile nesso tra processo di policy making e punto di vista di genere nella dimensione locale urbana (Sebastiani, 2007) sulle base di alcuni casi studio regionali e nazionali. L’analisi si focalizza su diversi tipi di dati quanti/qualitativi: a livello nazionale la mappatura riguarda i 118 capoluoghi di provincia e riguarda il ruolo degli assessorati alle pari opportunità o deleghe simili e le pratiche che attraverso questi “contenitori istituzionali” vengono attivate (Donà, 2008); a livello regionale si analizzeranno invece alcune serie di dati raccolti nel corso di dieci anni nei 580 comuni del Veneto relativi alle carriere delle donne elette in politica (Del Re, 2004) e alle politiche appartenenti al “discorso istituzionale” delle pari opportunità che si producono (http://cirsg.unipd.it/osservatorio/database/). Altri dati, nella stessa coorte di comuni della regione, sono stati raccolti per avviare un’indagine sulla presenza o assenza di una prospettiva di genere in politiche considerate invece nel discorso comune come “neutre”. A partire da questo frame di riferimento e grazie anche a interviste mirate ad assessore/i, sindache/ci e consigliere regionali e provinciali di parità (Maione, 2014; Farina e Carbone, 2015;), ci si chiede se sia possibile: A) stilare una sorta di un bilancio di salute generale del sistema che racchiude in una specifica delega istituzionale questioni che nel discorso comune finiscono per coincidere quasi esclusivamente con “politiche per le donne”; B) individuare discorsi “minori” (“minor frames”, Lombardo, 2008), non così espliciti, in cui sia possibile rintracciare, all’interno delle politiche locali, la matrice inclusiva e attenta alle diversità del “genere nelle politiche” (ad esempio nelle politiche di pianificazione urbanistica- Jacobs, 1961; Hayden 2004, Kail e Ischik, 2007), superando in questo anche il concetto di “democrazia incompiuta”, definita così a causa della mancata parità tra donne e uomini nella rappresentanza in termini di numeri (Scattigno, 2007). Al di là delle conclusioni realisticamente non confortanti che questo tipo di indagini portano con sé (Farina-Carbone, 2016), ciò che si sottolinea in questa ricerca è la grossa sottovalutazione, a tutti i livelli, del tema del linguaggio con cui si comunica e dei discorsi che accompagnano la complessa materia della parità, specialmente nella dimensione urbana (Sandercock, 2003; Sebastiani, 2011; Sanchez De Madariaga, 2013
“Il privato è politico”: ripensare il rapporto tra spazio privato e spazio pubblico a partire dalla “cura”
Monia Andreani (monia.andreani@unistrapg.it)
Abstract Nell’attuale crisi della politica intesa in senso istituzionale, dei partiti politici così come sviluppatisi nel secondo Novecento, ormai estinti nella loro dimensione strutturale e nei loro rapporti interni con la loro base sociale, nell’attuale ridisegno della sfera pubblica e dei rapporti tra centro e periferia, tra città e campagna, tra enti locali, tra mezzi di informazione e formazione di una opinione pubblica, permane invariato un fondamento. Si tratta di un elemento originario della politica moderna che è simbolico, antropologico-politico e che si è successivamente strutturato in termini di diritto positivo e separa nettamente la “cura” intesa come attività quotidiana che si occupa della vita delle persone nei termini della crescita, dell’educazione, dell’accudimento e della presa in carico nei momenti di malattia e disabilità - dalla vita liberata da questa cura quotidiana, che pertanto può diventare a tutti gli effetti pubblica, vissuta pienamente fuori da ogni dipendenza rispetto agli altri che prestano cura. Ancora oggi la cura è considerata lo spazio privato della dipendenza e della interdipendenza tra esseri umani, in cui le donne o gli uomini che svolgono lavori femminilizzati, per affetto e necessità familiari o per lavoro, sono di fatto considerati cittadini e cittadine di serie b, tranne le eccezioni su cui la stampa si concentra per creare il caso mediatico. Sono queste le figure considerate “eccezionali” che si battono per i diritti alla salute, economici e sociali, dei loro figli e figlie, fratelli, mariti, padri, quasi sempre queste sono donne e conosciute come “madri coraggio”. Di queste donne competenti, combattive e capaci, segnate dalla dipendenza e dalla interdipendenza (la prima rispetto alle persone di cui si prendono cura; la seconda dalle altre figure con cui suddividono il carico di lavoro di cura) quale traccia rimane nello spazio pubblico dopo la fine del caso mediatico? Si può rovesciare la separazione tra spazio privato e spazio pubblico, oggi, a partire da una risignificazione del motto femminista “il privato è politico” che tenga al centro la dimensione sociale e lavorativa della cura? Il paper cercherà di tracciare una risposta a tali quesiti discutendo alcuni casi studio e concentrandosi in termini teorici su due concetti chiave della cittadinanza democratica: agency e partecipazione.
Tra partecipazione e politiche locali: la Carta europea per la parità
Bruna Mura (brunamura@hotmail.it)
Abstract Con questo contributo si intende esaminare la relazione tra la partecipazione politica e sociale delle donne nei contesti locali e la formulazione di politiche gender oriented. Come filo conduttore di questa riflessione si utilizzerà la Carta europea per la parità tra donne e uomini nella vita locale, uno strumento formulato dieci anni fa dal Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa entro i piani d’azione definiti dalle istituzioni comunitarie. Ripercorrendo le sezioni della Carta, a partire dai principi generali che la informano, si intende porre l’attenzione su alcuni dei temi da essa richiamati utilizzando esempi di politiche messe in atto da comuni italiani ed europei che hanno visto la diretta partecipazione della cittadinanza nella fase propositiva oppure che sono state progettate con l’intento di promuovere la parità. In questo modo si intende mettere in evidenza elementi costanti e generalizzabili, ma anche rintracciare i limiti che queste politiche incontrano nella loro attuazione. Un secondo aspetto che si intende considerare è la specificità della partecipazione negli enti locali a partire dalla considerazione, presente nella Carta europea, che essi siano i più idonei “per combattere il persistere e il riprodursi delle disparità e per promuovere una società veramente equa. Essi possono, nelle loro sfere di competenza ed in cooperazione con l'insieme degli attori locali, intraprendere azioni concrete a favore della parità”. Porre l’accento sulle reti territoriali permette anche di riflettere sulle diverse forme che la partecipazione delle donne e dei cittadini in generale, può avere nella costruzione di politiche capaci di eliminare le discriminazioni. È la stessa Carta che, a questo proposito, pone l’accento sulla necessità di mettere in atto misure che permettano a uomini e donne di intervenire "in modo paritario" attraverso le “diverse forme di partecipazione pubblica ai propri affari, per esempio tramite comitati consultivi, consigli di quartiere, di e-participation o di pianificazione partecipata”.
Con questi presupposti, nella disamina dei diversi aspetti evidenziati, l’attenzione verrà mantenuta sulla ricaduta di queste politiche nel quotidiano. Si proverà, dunque, a riflettere su come, attraverso il rafforzamento della partecipazione politica e sociale delle donne a livello territoriale, sia possibile ripensare le politiche per tutte e tutti.
Chairs: Sandro Busso, Nicola De Luigi, Enrico Gargiulo
Discussants: Sandro Busso, Nicola De Luigi, Enrico Gargiulo
Azione Sociale Diretta: mutualismo, welfare dal basso e movimenti sociali nell’Italia della crisi
Lorenzo Zamponi (lorenzo.zamponi@sns.it), Lorenzo Bosi (lorenzo.bosi@sns.it)
Abstract La crisi economica e le relative scelte di policy hanno drammaticamente infulenzato sia la vita quotidiana dei cittadini d’Europa sia il dibattito pubblico in tutto il continente negli ultimi anni. Una lunga ondata di mobilitazioni politiche e sociali è stata generata, o quanto meno modellata, dal contesto sociale ed economico. In questo contesto, la ricerca sull’azione collettiva ha iniziato a concentrarsi in maniera crescente sulle forme di partecipazione che esulano dal tradizionale repertorio d’azione basato sull’espressione di rivendicazioni nei confronti dell’autorità statale e, invece, postulano una società che cambia se stessa.
Boicottaggi, azioni di solidarietà, consumo critico, finanza alternativa, gruppi di acquisto solidale, occupazioni, autogestioni, servizi legali e medici, per menzionarne solo alcune. Nell’Italia della crisi, sembra evidente l’aumento significativo di queste forme di partecipazione, che definiamo “Azioni Sociali Dirette”: azioni che non si concentrano primariamente sulla rivendicazione di qualcosa nei confronti dello stato o di altre autorità, ma, piuttosto, sulla trasformazione diretta di alcuni specifici aspetti della società per me mezzo dell’azione stessa.
Come si rapportano al contesto queste azioni? Quali gruppi sociali e politici sono più portati ad adottarle? Sono considerate alternative o complementari alla protesta? In che modo manifestano una prefigurazione del cambiamento politico? Quanto sono considerate compatibili con lo stato e con il mercato?
In questo paper rispondiamo a queste e altre domande sull’azione sociale diretta nel caso italiano, attraverso l’utilizzo di dati raccolti secondo tre diverse metodologie (la codifica dei siti web di 500 organizzazioni, un questionario online e 40 interviste qualitative) all’interno del progetto LIVEWHAT.
This project has received funding from the European Union’s Seventh Framework Programme for research, technological development and demonstration under grant agreement n° 613237.
Dalla fabbrica alla città. Il contributo del Social Movement Unionism alla ripoliticizzazione della governance urbana nel caso romano e genovese.
luca raffini (luca.raffini@edu.unige.it), Luca Alteri (luca.alteri@uniroma1.it), Adriano Cirulli (a.cirulli@uninettunouniversity.net)
Abstract Le città sono ambito privilegiato di sviluppo del modello economico, politico e sociale neoliberista e al contempo principale teatro dei conflitti che sfidano tale modello.
I processi di depoliticizzazione - attivamente alimentati e promosse dagli attori politici e istituzionali - si riflettono in un mutamento strutturale - quasi antropologico - delle organizzazioni sociali che a diverso titolo partecipano ai processi di governance urbana. Così come una parte del terzo settore sempre più si imprenditorialità e assume il ruolo di erogatore di servizi, anche i sindacati compiono un processo di mutamento identitario e organizzativo, che li rende partner di istituzioni e imprese e fornitori di servizi ai loro aderenti.
Non di meno, nella città neoliberista nascono nuovi attori conflittuali, attivi nella promozione di pratiche di mutualismo e di partecipazione e che recuperano gli ideali e i principi di solidarietà vieppiù abbandonato dalla componente del terzo settore più imprenditorializzata e depoliticizzata.
Tra i protagonisti di queste dinamiche di ripoliticizzazione vi sono i sindacati di base, che, secondo la prospettiva del Social Movement Unionism, contribuiscono a spostare il conflitto dal luogo di lavoro alla città, perseguendo la creazione di mobilitazioni ampie e trasversali, finalizzate a ricondurre all'unità la frammentazione dei bisogni e degli interessi delle classi subalterne.
I SMU agglutinano - all'insegna del claim del "diritto alla città" - una pluralità di conflitti e di rivendicazioni in merito al diritto all'abitare, al diritto alla salute, al diritto all'accesso ai servizi socio-sanitari di base, oltre che al diritto al lavoro.
Il paper - a partire da questo quadro teorico - approfondisce l'esperienza della "Carovana delle Periferie", una rete territoriale di associazioni, comitati civici, coordinamenti in difesa della salubrità del territorio, del commercio etico, dell'autoproduzione locale e attivi in pratiche di democrazia partecipativa, al cui centro vi è il sindacato di base USB, caso emblematico di Social Movement Unionism. La "Carovana delle periferie" si autodefinisce una "rete sociale sindacale" e quindi "inevitabilmente politica".
Si indagano criticamente genesi, progettualità, modalità organizzative, dell'attore individuato, il rapporto con i processi di governance territoriale, gli esiti di breve e di medio termine e le prospettive di sviluppo in termini di ridefinizione del rapporto tra sindacato, mobilitazioni sociali e governance urbana.
All'interno di un quadro comparativo internazionale (si pensa, in particolare, ad esperienze come quella barcellonese), l'esperienza romana viene comparata con le esperienze di altre città italiane in cui è stato avviato il progetto, ed in particolare Genova, città con un tessuto economico, politico e sociale assai diverso da quello romano.
Untangling indignant radical imaginaries: commons, ecologism and autonomy
viviana asara (viviana.asara@gmail.com)
Abstract This paper analyses the mutualistic and commoning projects engendered by the Indignados movement. Taking the case study of Barcelona, it focuses more particularly on the self-management of Can Batlló, previously a textile factory and currently a vibrant community of about 300 activist members, including diverse self-managed projects such as urban gardens, a cooperatives breeding ground, cooperative social housing, a public library and several economic and cultural activities from carpentry and beer production to crafts and infrastructure workshops. The paper untangles three interlinked radical imaginaries prefigured and implemented during the movement’s abeyance period. Countering growing enclosure and commodification of urban space, and displaying an integration of production, reproduction, consumption and governance, these projects are animated by the commons imaginary. By integrating these different functions, these projects also reclaim control over the conditions of reproduction, and attempt to self-determine their needs by disentangling life from commodity flows, hence expressing the autonomy imaginary. Autonomy nevertheless does not mean avoiding engagement with the state, as these projects connect the struggle over the common with the one over the public, redefining the public as “public from the common”, based on the interrelation between public, cooperative and communitarian spheres. Autonomy has also a territorial groundedness and relocalization dimension, which connects to the third radical imaginary, ecologism. Restoring economic self-reliance and re-embedding the economy within local communities and environments, being informed and motivated by ecological disfunction and waste, and promoting a different type of urbanism, they express an ecological conception of territory. Creating meaningful, collective work and self-employment, getting involved in collaborative and convivial consumption, and transforming everyday life through the “principle of responsibility”, these projects link self-determination of needs with sufficiency principles.
Chairs: Sandro Busso, Nicola De Luigi, Enrico Gargiulo
Discussants: Sandro Busso, Nicola De Luigi, Enrico Gargiulo
Da volontario a donatore? Le trasformazioni del volontariato e le implicazioni sulla solidarietà sociale
Anna Reggiardo (anna.reggiardo@gmail.com)
Abstract Il proposito teorico posto in questo lavoro è quello di indagare se il volontariato riflessivo possa essere strumentalizzato da un eccessivo avvicinamento a un mercato neoliberista. Controllare quindi se una maggior attenzione dedicata a tecniche di marketing e di fundraising, policy commerciali aggressive e di ricerca di donatori, possa finire a scapito della costruzione di reti e valorizzazione del volontariato a livello associativo.
Questa ricerca si intende inserire nel dibattito rispetto al quale la marketisation del terzo settore mette a rischio il suo apporto democratico [Eikenberry], dalla particolare prospettiva della trasformazione del ruolo del volontario [Hustinx; Salvini] nel terzo settore e in particolare nelle associazioni di volontariato che si occupano di tutela dei diritti ed advocacy [Raffini; Ruzza], anche in vista dei recenti mutamenti normativi che vedono un'apertura a profili low profit nel terzo settore.
Secondo i dati ISTAT, il settore di tutela degli interessi e altro è in aumento (+143,7%), ma si riscontra una complessiva diminuzione del numero dei volontari per l’area tutela dei diritti e attività politica (-24,3%): un trend in controtendenza rispetto al terzo settore che forse esprime qualcosa di più rispetto ad una disaffezione per la politica [Barbetta et al.]. La trasformazione in impresa sociale, se può essere naturale conseguenza di enti di terzo settore che erogano o distribuiscono servizi, è più problematica nella conciliazione fra spinte al profit con il fine solidale, quando l'oggetto è la promozione e tutela di diritti.
I risultati portano a considerare che il ridimensionamento del volontariato per favorire una più ampia base economica e di crescita può condurre a una minore affidabilità, mancando il monitoraggio negli enti di fondamentali stakeholder, portando ad una diffusa sfiducia dell'opinione pubblica nei confronti del terzo settore in generale, che si può riscontrare nei casi di cronaca recenti.
La presenza di volontariato riflessivo può condurre a un continuo ripensamento e riposizionamento della mission, creando un effetto riflessivo e dialogico nei movimenti. Ma quando inserito in un ente più orientato al profitto che alla missione in sé, può produrre una inversione dei mezzi per i fini, a una riflessività sulla produttività e concorrenza, più che al raggiungimento dello scopo solidale, e condurre ad una più debole democrazia interna e una minore efficacia di lobby esterna dell'associazione stessa.
Il privato sociale e l'accesso dei migranti ai servizi sanitari
Angelo Scotto (angelo.scotto01@universitadipavia.it), Maria Antonietta Confalonieri (mariaantonietta.confalonieri@unipv.it)
Abstract L'accesso ai servizi previsti dal welfare state è una delle questioni fondamentali in riferimento all'integrazione degli immigrati nei paesi d'accoglienza, per l'evidente rilevanza del godimento dei diritti sociali ai fini dell'inclusione sociale degli stranieri.
Tuttavia, è anche una questione problematica, innanzitutto perché è tra i temi che più possono suscitare reazioni negative tra gli autoctoni, che potrebbero percepire (e, di fatto, spesso percepiscono) gli immigrati come competitori per i benefici dello stato sociale. Inoltre, per alcuni dei servizi pubblici esistenti, l'accesso per i migranti può presentare difficoltà pratiche, legate alle differenze sociali e culturali, che rischiano di compromettere l'effettivo utilizzo dei servizi.
Nel sistema italiano le organizzazioni del privato sociale hanno un ruolo importante nel fornire supporto per superare queste difficoltà e favorire le interazioni tra gli stranieri e gli operatori dei servizi pubblici. Tuttavia, nell'espletamento di questo ruolo, tali organizzazioni si trovano a dover gestire spinte di diversa natura e potenzialmente contraddittorie: da una parte, per poter garantire un servizio efficace, esse seguono la strada della professionalizzazione; dall'altra, vista la già citata problematicità dell'accesso dei migranti al welfare, acuita dalla centralità del tema dell'immigrazione nell'agenda politica locale e nazionale, le organizzazioni spesso si fanno carico anche di attività di advocacy e sensibilizzazione riguardo i diritti degli immigrati, assumendo così una dimensione anche politica che rischia di entrare in conflitto con quella tecnica di fornitori di servizi, a maggior ragione quando tali servizi richiedono la collaborazione con agenzie pubbliche.
Questo paper si concentra, nell'ambito delle politiche sociali, sul tema dell'accesso dei migranti ai servizi sanitari. Sulla base dei primi risultati di una ricerca attualmente in corso in alcune regioni italiane, intendiamo verificare se e quanto le organizzazioni che si occupano di assistenza ai cittadini stranieri in materia sanitaria sperimentino le tendenze da noi descritte; in che misura ciò sia avvertito come un problema; e quali siano le scelte e le strategie messe in atto per gestire in maniera efficace questo doppio ruolo.
Mechanisms of politicizing civil society in Poland after the 2015 elections
Agnieszka Bejma (agnieszka.bejma@wp.pl)
Abstract After winning the elections in October 2015 the ruling party Law and Justice decided to take the control over the non-governmental organizations and the whole third sector by changing the procedures and rules in open competition, in which ngo are trying to get money for they functioning and by proposing new law on the National Centre for the Development Civil Society. The Centre will be represented by the and also by the executive body - National Council Centre. According to the proposed law to the Council will be appointed: 1 member appointed by the President of the Republic of Poland, 3 members appointed by the Prime Minister, 1 member appointed by the minister responsible for public finance and 2 members representing non-governmental organizations designated by the Council for Public Benefit Activities. In fact the entity that should be in majority represented by the civic organizations will be controlled by the politicians. Moreover the project will introduce a new competition mode in which the applications of organizations will be evaluated by experts selected by the President of the National Center. All these and others activities taken by the government will provide to the centralization of the civic sector. The author will try to highlight the main threats towards the development of the civil society in Poland both on the institutional level and individuals level.
Chairs: Javier Alcalde
Discussants: Guilherme Fians
Giovanni Peterlongo, il sindaco esperantista trentino
Davide Astori (davide.astori@unipr.it)
Abstract Il Trentino, come altre zone di confine, è fisiologicamente area di contatto, e il suo capoluogo, Trento, città emblematica di dialogo, incontro, relazioni, multilinguismo, dal Regno Austro-ungarico a oggi. Il carattere pacifico che ha caratterizzato, e caratterizza, la convivenza delle etnie e delle rispettive lingue su quel territorio portò alla celebre definizione ottocentesca (di Gregorovius) di “concordia discors” del sistema socio-politico trentino. In tale clima spicca la figura poliedrica di Giovanni Peterlongo (1856-1941): uomo di legge, funzionario pubblico, politico, ma anche letterato e linguista.
“Fra i patrioti liberati” – come lo definisce lo storico locale U. Corsini, Peterlongo, sindaco della città per 20 mesi (25/901/22–10/08/23), e successivamente Commissario prefettizio (dall’11/08/23 fino all’abbandono dell’incarico, il 4/05/26), accanto al suo impegno politico si vive parallelamente nella sua esperienza linguistico-valoriale di esperantista, e traduce in 'lingvo internacia' la "Divina commedia". E il suo nome – sottolinea S. Baggio dell’Università di Trento, “va effettivamente legato al culto di Dante, icona risorgimentale e dell’irredentismo trentino in particolare […]. Direttore del Magistrato della città di Trento, [è lo stesso] Peterlongo l’11 ottobre 1896 [a] inaugura[re] a Trento il Monumento a Dante, eretto con il sostegno della Società Dante Alighieri e con la benedizione poetica del Carducci: “Ed or s’è fermo, e par che aspetti, a Trento”.
Ci chiederemo, con le parole del figlio Paolo dall’introduzione al lavoro del padre, il perché di una "Dia Komedio" in esperanto. Per giungere alle conclusioni del già citato Corsini: “La traduzione del poema dantesco in una lingua che, sia pure artificiale, può essere strumento di comunicazione fra popoli diversi e lontani per origini storiche e per cultura, noi amiamo credere sia stata voluta e compiuta da Peterlongo come atto d’amore per l’Italia e come proclamazione di fedeltà a quegli ideali di comprensione internazionale che emergono dal pensiero politico del primo sindaco eletto di Trento liberata, e che sono fissati nella scritta alla base del monumento a Dante”.
Da tale prospettiva la figura di Peterlongo chiarisce alcuni aspetti, a volte meno approfonditi negli studi di settore, che spingono a prendere parte attiva a un movimento: il legame fra un concetto di nazionalismo (culturale) e l’amore per la propria terra con l’internazionalismo fraternizzante dell’esperanto.
Esperanto vs. Newspeak, o il lato oscuro delle lingue internazionali
Nicola Ruggiero (nicola.ruggiero@edu.unito.it)
Abstract La pianificazione di una lingua permette una comunicazione relativamente equa e facilitata fra parlanti di lingue e culture differenti fra loro. L'esempio per eccellenza è l'Esperanto, sopravvissuto alla morte del suo glottoteta, L.L. Zamenhof. È tutt'ora utilizzato dagli attivisti per una comunicazione più equa e oggetto di studi, ad esempio nei campi della storia della scienza, della sociolinguistica, della letteratura, della antropologia, della sociologia (particolarmente la sociologia dei movimenti sociali) e della filosofia politica per quanto riguarda la ricerca normativa sulla giustizia linguistica.
Tuttavia, quando la pianificazione linguistica attua dei principi di una politica totalitaria per controllare e impedire il libero pensiero, ad ogni livello cognitivo dei parlanti, essa si trasforma in una vera e propria nemesi linguistica.
La nemesi dell'Esperanto è sicuramente il Newspeak (Neolingua), un inglese pianificato da George Orwell per il romanzo distopico 1984. Secondo un determinismo linguistico portato agli estremi,
la principale funzione del Newspeak è quella di influenzare tramite il linguaggio il pensiero della popolazione, riducendo man mano le parole sia in termini numerici sia in termini di significato.
Per la pianificazione del Newspeak, Orwell ha attinto con ogni certezza dal Basic English, dall'Esperanto ma anche dalla poco conosciuta Interglossa. Partendo da riferimenti linguistici già riscontrati in Gobbo (1997), Sutton (2008), Lins (2017) e altre fonti, e basandomi sull'Appendice scritta dallo stesso Orwell, ho analizzato le principali analogie e differenze, e le influenze che le lingue menzionate in precedenza hanno avuto nell'elaborazione del Newspeak e nei suoi parlanti.
Ovviamente, i parlanti di Newspeak non formeranno un vero movimento sociale, come sì capiterà nel caso dell’Esperanto. Tuttavia, questa ricerca anche mette in luce alcune caratteristiche degli attivisti del movimento per una lingua ausiliaria internazionale in generale e del movimento esperantista in particolare.
Brokerage between different social movements? Silvio Gesell, Esperanto and peace
Javier Alcalde (javier.alcalde@sns.it)
Abstract In the research on the Esperanto movement, several topics remain understudied. One of them is its relationship with related movements, such as the peace movement. Another one tackles the different proposals made by intellectuals and social activists on its behalf in their areas of expertise. This paper aims at contributing to both by analizing several proposals by the German economist Silvio Gesell (1862-1930). Gesell was an influential thinker, with ideas of social reform not far from those of Henry George. “I believe that the future will learn more from the spirit of Gesell than from that of Marx”, wrote Keynes. As it will be shown, by linking Esperanto and peace in his economic proposals, Silvio Gesell bridges the gap between different social movements through a mechanism that in social movement studies is known as brokerage.
In order to reach this conclusion, we will have to answer several questions. First of all, was Gesell an Esperantist? Obviously, this depends on our understanding of Esperantism. Did he speak the language? Did he write in the language? Did he write about it? Did he participate in the Esperanto movement? Taken together, the answers to these questions show an original Esperantism, closely linked to a deep pacifist attitude. At this point, new research questions arise. Which is the role of pacifism in his philosophical and economic thinking? Is it possible to consider him as a pacifist? Where do we locate him within the framework of the pacifist tendencies of the period? And finally, was he a pacifist because he sympathized with Esperanto or on the contrary, did he become an Esperantist because this matched his pacifism?
La lingua catalana e il poliglottismo medico nel periodo tra le due guerre: l’utilizzo dell’Esperanto nella rivista 'La Medicina Catalana' (Barcelona, 1933-1938)
Judith Perona (judith.perona@gmail.com), Àlvar Martinez-Vidal (alvar.martinez@uv.es)
Abstract È noto che il poliglottismo fu una delle caratteristiche della comunicazione medica scritta nel periodo tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. All’egemonia del francese e del tedesco, si aggiunse quella de l’inglese, una lingua che finirà per imporsi in tutti gli ambiti scientifici durante la seconda metà del sec. XX grazie alla precedente espansione dell’imperialismo britannico nei cinque continenti e alla potenza culturale, economica e militare degli Stati Uniti. In questo contesto di rivalità linguistica e di pretese d’internazionalismo, l’esperanto non riuscì a consolidarsi come lingua delle scienze mediche. Cosi, l’Index-Catalogue of the Library of the Surgeon General’s Office, che raccoglie quasi quattro milioni di citazioni di documenti medici – principalmente articoli di giornale, ma anche rapporti e tesi dottorali-, soltanto presenta quattordici relative a l’uso de l’esperanto in medicina, però nessuna di queste è un lavoro originale in questa lingua.
Tra 1933 e 1938 fu pubblicata mensilmente a Barcellona una rivista medica in catalano, La Medicina Catalana (LMC) che voleva essere, come suggerisce il suo sottotitolo, ‘portantveu de l’Occitània Mèdica’ , cioè una rivista che sperava mettere in contatto i medici dei territori compresi nel triangolo Alicante-Bordeaux-Marsiglia, un territorio linguistico di circa 10 milioni di abitanti localizzato tra la Spagna e la Francia. Il presupposto basico era che il catalano, tra le diverse varietà della lingua d’oc, rappresentava la varietà più adatta per la medicina moderna. Davanti alla scarsa, o nulla, presenza della lingua catalana nel panorama medico internazionale, la strategia di LMC, già dal suo inizio, fu di aggiungere a quasi tutti gli articoli originali dei piccoli riassunti dei contenuti in diverse lingue. Una di queste era l’esperanto.
L’obiettivo di questo lavoro è triplo: analizzare a livello quantitativo i riassunti in esperanto degli articoli originali pubblicati per LMC; situare l’esperanto nella strategia di diffusione di una rivista che tentava di farsi spazio nell’egemonie linguistiche del periodo compreso tra la Prima e la Seconda Guerra mondiale; ubicare questa strategia nel contesto della tradizione esperantista della Catalogna.
Gordin, M. Scientific Babel: The language of science from the fall of Latin to the rise of English. Chicago: Chicago University Press, 2015.
Poblet Feijoo, F.; Alòs Font, H., Història de l'de l'esperanto als Països Catalans: recull d'articles. 2010.
Chairs: Javier Alcalde
Discussants: Javier Alcalde
Activism on time, throughout time: juggling conceptions of temporality within supporters of the Esperanto movement
Guilherme Fians (guilherme.fians@postgrad.manchester.ac.uk)
Abstract Exploring the outcomes of a social movement is one the most challenging aspects in this field of research (Giugni, McAdam and Tilly, 1999; Bosi, Giugni and Uba, 2016). The Esperanto movement is a paradigmatic case, as the perceptions of the success/failure dimension by its supporters tend to diverge from the perceptions of the rest of the society.
My paper aims at debating temporality and perceptions of time among Esperanto supporters through a socio-anthropological perspective. Many activists regard Esperanto as the language of the future, which will help to gather people together through a neutral, fair, and equitable communication. At the same time, those who do not speak this language often regard it as a failed project; as something that may have had importance in the past, but that is not spoken anymore.
Between these two conceptions, I critically present the everyday practice of Esperantists through an ethnographical approach, by relating, comparing and mapping perspectives on Esperanto as a language, movement and speech community. Through a fieldwork conducted mostly in France, and by collecting data from archive research, interviews and participant observation, I discuss conceptions of Esperanto as failure or success, as something oriented to the past, to the present and/or to the future, and visions on nostalgia and hope. I analyse the weakening of many associations and the simultaneous strengthening of the movement online, through groups on social networks and smartphone apps and the emergence of free online courses, and on how people face it as a change of the Esperanto community, as the end of Esperanto, or as the advent of internet as a suitable tool for the spread of the language. By doing so, I contribute to the growing bibliography in sociology and in anthropology on social movements and their relations with time, hopelessness, hopefulness and new technologies.
Esperanto and international institutions: researching impact from a sociolinguistic perspective
Zorana Sokolovska (sokolovska@unistra.fr)
Abstract From sociolinguistic perspective, this paper aims to analyze debates on Esperanto within international institutions, in specific sociohistorical and geopolitical contexts. It draws on different texts produced by the League of Nations, the Organization of the United Nations and the Council of Europe in the postwar periods. By examining the failed attempts of Esperanto to be recognized as an international auxiliary language by international institutions, this study interrogates the socio-political interests of promoting languages on an international level and contributes to the research on the contribution of language to internationalization. By doing so, it also suggests an innovative way of researching social movements.
The analysis in this paper is in line with the critical scholarship that considers “language invention” as a process not only characteristic of the creation of the so-called artificial languages, but also as a political and ideological process that is inherent to the construction of nation-state languages since the European enlightenment and the Romantic reaction that followed (Gal 2009). Language invention is based on language ideologies (Heller 2002, Gal & Irvine 1995), i.e. a complex of beliefs of what a language is or should be, for what purpose(s) it should be used, and by whom. The analysis thus focuses on language ideologies that underlied the debates on Esperanto in the above-mentioned institutions and that conditioned the decision-making process. The language-ideological analytical approach applies on the frames (Snow & Benford 1988) put forward by all parties in the debates: Esperanto supporters, institutional and nations-states representatives.
The study points to the reproduction of language ideologies that participate in the creation and maintenance of nation-states. These ideologies are thus part and parcel of the discursive production on languages by international institutions that are composed of states and that are created and managed by those states (Duchêne 2008). While this reproduction valorizes ideologies on language as essential to nation-states, it excludes all alternative language ideologies. Esperanto, as a linguistic alternative that lies outside of the state-language paradigm, is therefore excluded from consideration by these international institutions. The mystical link between language and ethnicity (Garvía 2015) maintained by state power actors prevails in the reflections on the social functions of languages.
The evolution of the Esperanto movement in Asia (1965-1995)
So Gilsu (koguri@hanmail.net)
Abstract Most of the research on the Esperanto movement has tackled the European continent. Among other reasons, it is in Europe where it was first developed. By studying several aspects of the Asian activists, this paper will contribute to fill this gap in the literature.
In modern times, the Esperanto movement in Asia can be divided in two main periods: a first one between 1965 and 1989, which is characterized by an absence of strategy within the movement. And a second one since 1989 and with more clear aims and strategies. The second one can be in turn divided into two subperiods: before and after the creation of KAEM (Komitato de Azia Esperanto-Movado). This presentation will address the first period and the first subperiod of the second one. As far as the first period is concerned, the focus will be on the relationships between Japanese and Korean Esperantists. Concerning the first subperiod of the second, the analysis will address the global role of a particular figure within the main social movement organization, that is, the Universala Esperanto-Asocio.
By examining the interplay between the national, regional and international levels, the paper aims at contributing to the study of the organizational dynamics of the Esperanto movement. Additionally, the research shows the relevance of the political opportunity structure, and particularly the policies of foreign affairs in the different countries. This way, the relationships between Korean and Japanese activists in the 1960s and 1970s mirror the raprochement of their governements, whereas the international openness of China since 1989 also has an impact on the development of the movement.
Chairs: Martina Avanza, Caterina Froio
Discussants: Caterina Froio, Martina Avanza
Far-Right Activism in Contemporary Britain: the 'London Forum' and the ' British Traditional Group' Through the Lens of Qualitative-Ethnographic Approach
Anna Castriota (annacastriota66@gmail.com)
Abstract The present paper aims to discussing and assessing the validity and applicability of the qualitative- ethnographic method for the study and theorising of social movements and political and ideological realities that imply mass mobilisation and counter-culture; for this purpose it has been taken into consideration the author's own research experience when studying the British far-right. Specifically, the paper focusses on the role and relevance of the qualitative analysis in understanding and defining the complexity of far-right social movements in Britain , referring to the data thus obtained and the theoretical conclusions reached by the author when applying this methodological approach to her work field. In discussing the author's embedding with the movements taken into consideration, the paper will also engage with the literature available on the topic by assessing the pros and cons of the qualitative-ethnographic method in order to provide a balanced analysis by comparing the several theories on this topic, and the practicality of the author's own experience.
For the purpose of this paper, two groups have been selected. The first group taken into consideration is the neo-Nazi 'London Forum' group, which has been observed from the 'inside' by the author for two years (2014-2015). The second group taken into account is the 'British Traditional Group', a pressure group within the political area of the Conservative Party observed in the same period (2014-2015) with a direct and personal embedding of the author.
The research results and theoretical conclusions derived from studying these two far-right socio-political realities will be illustrated in the course of the paper in order to assess and discuss the author's personal experience as researcher who privileges the 'action research' (Stringer 1999) derived from the qualitative-ethnographic approach alongside the useful tools provided by the quantitative analysis in the study of social movements.
Understanding third millennium fascism: ethnographic insight and ethical issues
Maddalena Gretel Cammelli (mgcammelli@gmail.com)
Abstract My contribution will move from the ethnographic research I carried on with activists of the CasaPound movement (today Party) in Rome.
Moving from observations and interviews with CasaPound activists, the ethnographic field showed the inner meaning of “third millennium fascism” as it is explained and experienced by activists themselves. Even if the political programme carries an important role in the constitution of the movement and party, nevertheless it is not the programme the main reason pushing new people to get involved in the movement. CasaPound’s activists feels to belong to a “community of struggle” and a “community of destiny” that pervades their daily lives. Their activism is felt firstly as an “existential experience”.
Ethnography has a prominent role in order to get some of the main reasons involving militants to join the movement. Those reasons don’t stand in line with the programme or any official political position. The involvement with the movement seems on the contrary something emotional and “pre-rational, that is rationalised afterwards”, as an activist told me.
In this framework, while CasaPound score at the elections since 2013 continues to grow – from 0.64 to 1,14% - ethnography can provide relevant insights to the scholarship of far-right movement and parties. However, ethnography of contemporary political movements can encounter some concrete ethical and methodological issues concerning on one side the possibility to carry on the research in security and in a free manner, and on the other side the consequences on political and social life of the research itself.
In my paper I will give evidence of the relevance of ethnography for the scholarship of neo-fascist and far-right movements and parties, and meanwhile I will argue for some ethical stance of primary relevance for future researchers.
Essere leghisti. Repertoires and practices of militantism in two local branches of Lega Nord
Elisa Bellè (elisa.belle@unitn.it)
Abstract My contribution will focus on the participation processes into an Italian right-wing, populist and regionalist political party, the Northern League. The research was conducted in two local party section, respectively located in a small town of Veneto (a region of Northern East Italy), and in a large metropolitan area of Lombardia (a region of Northern West Italy). The ethnographical work was realized through the participant observation (about 6 months in each local section) of different organizational activities (party boards and meetings, social dinners, informal encounters etc.), and in depth-interviews with party leaders and activists.
The two branches were selected for their location, opposite and specular, at the extremities of two analytical axes: a territorial axis and an organisational one. Contrada is a branch in a small town of Veneto province (North East Italy). It is in a central position from a territorial point of view, being the birthplace of the Northern League, but peripheral with respect to the political-organisational internal axe of the party. In contrast, the branch of Metropolis, located in a large city of Lombardy (North West Italy), is peripheral from a territorial perspective, as large urban areas are the places of least consensus for the Northern League. Metropolis, however, is central on the internal organisational axis, being close to the managerial, organisational and political heart of the party.
The main purpose of the fieldwork was to study forms and modalities of activism inside the party. The analytical focus of the research is therefore not so much on the party, intended as a collective actor in the institutional arena, but as a concrete and locally situated organisation, daily reproduced by its militants.
In sum, the paper focuses on the ideological-cultural repertoires and the practices of activism, assuming the everyday organizational life of the two branches as the empirical and analytical perspective. It will be shown how the ideology and identity of the militants of the two local branches are characterized by both similarities (common repertoires) and differences (different construction processes of the same repertoires). In particular, the paper sheds light on the complex and intense relation between repertoires of activism and socio-political contexts, showing the relevance of the local dimension in the construction of identities and cultures of activism.